Hiv, verso una terapia che non duri tutta la vita

Insegnare al sistema immunitario di un paziente sieropositivo a tenere sotto controllo l’Hiv senza bisogno di seguire la terapia antriretrovirale per tutta la vita. È l’obiettivo di un gruppo internazionale di ricercatori, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità. E, stando ai risultati raggiunti finora, pubblicati su PloS Pathogens, gli scienziati potrebbero essere sulla strada giusta.

Il team ha sperimentato, su due macachi, una terapia antiretrovirale intensificata (H-iART) a base di tenofovir, emtricitabine, raltegravir, ritonavir-boosted-darunavir e maraviroc, in combinazione con un composto di sali d’oro, l’auranofin.

Il maraviroc è un farmaco già usato in clinica e non ha un’azione antivirale diretta, ma impedisce l’ingresso nel virus nelle cellule. I ricercatori ritengono che riuscire a bloccare questo primo passaggio potrebbe evitare il formarsi di nuovi reservoir, quelle cellule in cui l’Hiv rimane nascosto.

I reservoir sono il bersaglio anche dell’auranofin (farmaco attualmente usato per il trattamento dell’artrite), i cui effetti sul virus erano già stati dimostrati dallo stesso gruppo di ricerca in uno studio precedente. La nuova strategia, quindi, prevede la combinazione di una terapia antiretrovirale con una antireservoir.

Veniamo ai risultati. Durante il trattamento, la carica virale dei macachi è risultata non individuabile, secondo quanto riportato dagli scienziati. Dopo sei mesi, i ricercatori hanno deciso di interrompere la terapia e, come previsto, la carica virale è risalita, seguendo l’effetto chiamato “di rebound”. A questo punto il trattamento è stato ripetuto per un altro periodo limitato: progressivamente, la carica virale è tornata al di sotto dei livelli iniziali e, a distanza di 9 mesi, è rimasta tale.

“È la prima volta che una strategia puramente farmacologica produce, nella fase cronica dell’infezione, effetti stabili sul controllo della malattia al di là dell’intervallo di tempo in cui è somministrata”, sottolinea Andrea Savarino, coordinatore dello studio. “A seguito dell’interruzione della terapia – spiega il ricercatore – il virus prova a eludere il controllo immunitario, ma è ricacciato costantemente a livelli bassi o non rivelabili dal sistema immunitario dell’organismo”.

Per capire se la terapia intensificata H-iART avesse effettivamente agito sul sistema immunitario dei macachi, i ricercatori hanno condotto un ulteriore esperimento. Servendosi di anticorpi monoclonali, hanno distrutto alcune cellule del sistema immunitario delle scimmie, le CD8+, coinvolte nella difesa contro l’Hiv. Come conseguenza, la carica virale è tornata a salire, dimostrando così che quelle cellule avevano acquisito un ruolo immunitario specifico nel controllo delle riserve del virus.

A ben guardare, sono due i risultati ottenuti dalla ricerca. Il primo è aver indotto il sistema immunitario dei macachi a sviluppare un’azione specifica contro l’Hiv che si mantiene anche dopo la sospensione della terapia. Il secondo è aver dimostrato le potenzialità di farmaci già utilizzati in medicina, il che renderà più semplice e veloce cominciare le sperimentazioni cliniche.

Riferimento: PLoS Pathog 8(6): e1002774. doi:10.1371/journal.ppat.1002774

via wired.it

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