Il primato del buco nero

È circa 17 miliardi di volte più pesante del nostro Sole, e quindi entra di diritto nel guinness dei primati dell’astronomia: si tratta di un buco nero supermassivo, scoperto dagli astronomi dell’Hobby-Eberly Telescope (Het) presso il McDonald Observatory della University of Texas at Austin. Il buco nero, da solo, costituisce il 14 per cento della massa della galassia che lo ospita, la NGC 1277, distante più di 220 milioni di anni luce dalla Terra. Oltre al peso, anche le sue dimensioni sono da record: è 11 volte più grande dell’orbita di Nettuno intorno al Sole. 

Numeri di questo calibro suonano inaspettati anche agli autori della scoperta, pubblicata sulla rivista Nature: “NGC 1277 è una galassia davvero originale”, dice Karl Gebhardt, astronomo della University of Texas at Austin. “Praticamente, è costituita quasi per intero dal buco nero. Potrebbe essere il primo oggetto di una nuova tipologia di corpi celesti, i sistemi galassie-buchi neri”.

Solitamente, i buchi neri molto pesanti sono osservati in galassie ellittiche giganti, mentre NGC 1277 ha forma di lente ed è piuttosto piccola. Per capire il motivo di questa stranezza, agli astronomi servirebbero più dati: il problema è che misurare la massa dei buchi neri è molto difficile e richiede parecchio tempo. Per questo motivo, l’équipe dell’Het ha sviluppato il Massive Galaxy Survey, che seleziona un campione di galassie potenzialmente interessanti da esaminare. “Bisogna sempre guardare i casi estremi”, spiega Gebhardt. “Tra tutte le galassie scegliamo quelle più e meno massive e le studiamo. Het è stato progettato proprio per questo”.

Gli scienziati, comunque, ammettono di brancolare ancora nel buio, o quasi: “Al momento”, sostiene Remco van den Bosch, uno degli autori del lavoro, “ci sono tre meccanismi completamente diversi tra loro candidati a spiegare il collegamento tra proprietà di una galassia e massa dei buchi neri. Non sappiamo quale teoria sia la migliore, e speriamo che la nostra scoperta possa essere d’aiuto”.

Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature11592

Credits immagine: David W. Hogg, Michael Blanton, and the Sdss Collaboration

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