Oms: come eliminare la Tbc dai paesi ricchi

È una malattia infettiva che in Italia fa un morto al giorno. “Se fosse ebola, occuperebbe tutti i giorni le prime pagine dei quotidiani. Invece è la tubercolosi, e non fa notizia”, dice Mario Raviglione, direttore del Programma Globale per la Tubercolosi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Così, per sensibilizzare i governi e l’opinione pubblica sul tema, ma senza generare gli allarmismi che contraddistinguono i periodici sbarchi di migranti in Sicilia, l’Oms e la European Respiratory Society (Ers), in collaborazione con il Ministero della Salute italiano, hanno presentato ieri un nuovo programma di intervento in otto punti, adattato sulla base della Strategia globale contro la Tubercolosi post-2015. Obiettivo: ridurre l’incidenza della Tbc del 90 per cento entro il 2035.

Ma questa volta l’approccio è combinato. Non soltanto un’azione sulle regioni in cui la malattia è endemica, ma anche sui paesi a bassa incidenza (e nella maggior parte dei casi ad alto reddito), quelli cioè in cui si registrano meno di 10 casi per 100 mila abitanti. L’Italia è uno di questi, con una media di 7,2 e circa 4300 casi totali, sebbene – come ricorda Giuseppe Ruocco, Direttore Generale della Prevenzione del Ministero della Salute – nel nostro paese si registrino delle differenze a livello regionale: al Nord siamo oltre i 10 casi per 100 mila abitanti, al Sud intorno ai 5.

Insieme all’Italia vengono chiamati a fare la loro parte altri 32 paesi, tra cui colossi dell’economia globale come l’Australia, la Finlandia, la Francia e gli Stati Uniti, ma anche realtà meno solide come Giamaica, Portorico, Costarica, Cuba, Cisgiordania e Striscia di Gaza, tutti posti al di sotto della soglia di 10 casi per centomila abitanti. Perché agire sulle aree in cui la Tbc ha (quasi) smesso di fare paura? “Antibiotici potenti e migliori condizioni di vita hanno quasi debellato la malattia da molti di questi paesi ad alto reddito – spiega Giovanni Battista Migliori, segretario generale dell’Ers – ma non abbiamo ancora vinto. E se commettiamo errori adesso, la Tbc potrebbe riproporsi, anche con forme più resistenti ai farmaci. Se invece agiamo correttamente e ci impegniamo nuovamente a combattere la malattia, sia in Italia che altrove, la Tbc un giorno non rappresenterà più una minaccia per la salute pubblica”. Questo giorno è fissato al 2050, data nella quale si prevede di ridurre l’incidenza a un caso per milione, ovvero l’eliminazione della malattia. E che anche l’Italia debba sentirsi coinvolta lo dice il fatto che i casi nel nostro paese sono in leggerissimo ma costante aumento, soprattutto nelle popolazioni più vulnerabili: i poveri e le persone senza fissa dimora, i migranti (in questo gruppo si registra il 43 per cento dei casi italiani), alcune minoranze etniche, ma anche le persone che fanno uso di droghe, i carcerati, chi ha il sistema immunitario compromesso (per esempio i sieropositivi).

Il pacchetto di questa “chiamata alle armi” prevede, come si diceva, otto punti:

– garantire sostegno finanziario per la pianificazione e per i servizi di elevata qualità

– dare priorità ai gruppi più vulnerabili e difficili da raggiungere

– prevedere servizi speciali ai migranti e attenzione alle questioni transfrontaliere

– effettuare lo screening per la tubercolosi attiva e per l’infezione tubercolare nei gruppi ad alto rischio e fornire un trattamento appropriato; gestire le epidemie

– ottimizzare la prevenzione e la cura della tubercolosi multi-resistente

– garantire una sorveglianza costante, il monitoraggio e la valutazione dell’intervento

– investire in ricerca ed in nuovi strumenti

– sostenere il controllo globale della tubercolosi

Restano tuttavia due nodi ancora irrisolti. Il primo riguarda i finanziamenti necessari alla copertura di questo nuovo programma. “Il nostro obiettivo – spiega Raviglione – è proprio sensibilizzare i paesi ad alto reddito affinché investano nella prevenzione e nella cura della malattia. Se non lo fanno loro, chi altri dovrebbe farlo?”. E tuttavia, fa sapere Ruocco, il Ministero della Salute non prevede al momento ulteriori fondi a copertura del programma. Il secondo punto critico riguarda invece la ricerca. “Nel 2013 sono stati approvati due nuovi farmaci per il trattamento delle forme resistenti di Tbc, bedaquilina e delamanid”, commenta Alberto Matteelli, del Global TB Programme dell’Oms, “ma certamente quello della tubercolosi è un mercato poco attraente per le farmaceutiche, e la ricerca non fa passi da gigante”.

Credits immagine: Wikipedia

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