Se creatività non fa rima con felicità

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GLI ULTIMI ROMANTICI lo chiamano spleen. Ovvero, molto più prosaicamente, milza. Organo preposto, secondo le antichissime teorie mediche greche e cinesi, a secernere umori legati agli stati di tristezza meditativa e malinconia. E legato, da Baudelaire in poi, al furore artistico e ai processi creativi. Una metafora che la scienza ha appena riportato in auge: uno studio pubblicato sulla rivista PLOS One da Anna Jordanous, informatica della Kent University, e Bill Keller, linguista della Sussex University, infatti, ha appena messo insieme e analizzato un imponente corpus di lavori scientifici sul tema della creatività pubblicati nell’ultimo mezzo secolo per isolarne le 14 componenti fondamentali. E tra queste, sorprendentemente – o forse non troppo, ripensando a figure tormentate come, per l’appunto, Baudelaire o Van Gogh –, non figura la felicità. Ovvero, in altre parole, secondo le conclusioni degli scienziati uno stato di benessere psicologico non sarebbe d’aiuto al processo creativo. Tutt’altro.

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