Dall’automazione alla disoccupazione: mito o realtà?

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(Foto via Pixabay)

di Carmela Gioele Galiano e Fabio Gironi

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Una volta si trovavano solo sulle pagine di libri di fantascienza. Oggi li possiamo incontrare sulle nostre strade, nei nostri uffici, ospedali, industrie, e persino nelle nostre case. Parliamo dei robot, macchinari di ogni forma e struttura capaci di svolgere compiti che noi esseri umani troviamo troppo faticosi, difficili, o – semplicemente – troppo noiosi: dall’assemblaggio di un’automobile alle pulizie domestiche. La ricerca nei campi della robotica e dell’intelligenza artificiale sta convergendo verso la creazione di robot sempre più abili, sempre più rapidi e, soprattutto, sempre più autonomi. Ma la prospettiva di un mondo dove i robot siano in grado di rimpiazzarci in quasi tutte le mansioni di tutti i giorni, dalla sfera domestica a quella industriale, può essere vista sia come un’utopia di un mondo di libertà dalla schiavitù del lavoro, che come un incubo di un mondo con maggiore disoccupazione e povertà.

Che cos’è questa automazione dunque? Consideriamo un paio di esempi. Durante la prima metà del ventesimo secolo, un “computer” era un essere umano (spesso una donna), addetto alla computazione – a mano e su carta – di calcoli complessi. Un lavoro lungo, tedioso, e difficile, dato che un singolo errore di calcolo potrebbe risultare fatale a qualcun altro. Dall’invenzione del computer elettronico ad oggi, questo tipo di lavoro è scomparso del tutto, dato che i computer moderni sono in grado di svolgere lo stesso compito con molta più efficienza e rapidità di un essere umano.

Secondo esempio: l’invenzione del container per il trasporto di merci, alla fine degli anni ’40, ha rivoluzionato la logistica internazionale, rendendo possibile la completa automazione dei meccanismi di carico e scarico merci nei porti e nei centri di stoccaggio: il lavoro pesante che una volta veniva svolto a mano dagli scaricatori di porto è oggi portato a termine da gru, nastri trasportatori, carrelli elevatori e via dicendo. In aggiunta a questi due campi, oggi le possibilità di automazione in quasi tutte le parti della nostra società– dalla produzione industriale e i servizi al cliente fino alla sfera medica e di assistenza ai pazienti — sono enormi. Camion autonomi potranno trasportare merci per migliaia di chilometri di autostrada senza bisogno di un pilota umano, così come programmi di intelligenza artificiale saranno capaci di formulare diagnosi mediche più accurate di dottori umani. E gli esseri umani? Cosa faranno?

Il rischio è che questa profonda rivoluzione sul livello produttivo non venga accompagnata da una lungimirante strategia politica, capace di permettere l’automazione senza però rendere ai cittadini ancora più difficile trovare un impiego e – con esso – uno stipendio. Una relazione preparata da un centro di ricerca britannico – la consultancy firm PwC – e pubblicata a marzo scorso suggerisce che i robot potranno rimpiazzare gli esseri umani nel 28% dei lavori negli Stati Uniti, 30% nel Regno Unito, 35% in Germania e 21% in Giappone. I posti di lavoro che saranno destinati ai robot saranno per lo più nel settore del trasporto dei beni (56%), filiera produttiva (46%) e vendita al dettaglio (44%). In uno studio della Oxford Martin School, due ricercatori hanno previsto che i tipi di lavoro più probabilmente destinati ad essere automatizzati saranno quelli che richiedono meno specializzazione e training, tra cui segretari, centralinisti, operatori di call center, cassieri, camerieri, magazzinieri, corrieri, e via dicendo. Ovvero proprio quegli impieghi che vengono comunemente svolti dai giovani che, già oggi, fanno fatica ad entrare nel mondo del lavoro. Sembra dunque che siamo destinati a un mondo di disoccupazione e povertà. O forse no.

Entro cinque, massimo dieci anni, potremo adoperare robot per quelli che si chiamano i ‘McDonald’s job’, ossia quei lavori ripetitivi che richiedono solo un po’ di intelligenza”, racconta Rosario Sorbello, co-direttore, con Antonio Chella, del Robotics Lab di Palermo. “Ma per averli al posto nostro, ed essere avvocati, essere medici…dovremo aspettare più a lungo. Nel frattempo potranno esserci di supporto. Ad esempio è stato dimostrato come un agente intelligente possa analizzare diecimila cartelle cliniche per una determinata malattia ed essere più bravo, di un medico umano. Certo, i computer analizzano tanti dati, ma ci deve essere sempre un criterio secondo il quale si analizza il tutto. Ed è sicuramente il concetto di esperienza umana, che manca: da anni nel campo dell’intelligenza artificiale si parla di apprendimento per comunicazione, apprendimento per esperienza, e via dicendo, ma secondo me ancora non siamo in grado di poter raggiungere tutto questo.”

Ciononostante, continua Sorbello, l’idea che guida lo sviluppo tecnologico di robot sempre più abili e competenti è quella di “ridurre la complessità delle cose futili o dei compiti triviali che normalmente impegnano la nostra vita. Il 50% del nostro tempo lo passiamo lavorando, un terzo della nostra vita la passiamo dormendo, e poi compiamo tutta una serie di attività che rendono la nostra vita monotona, perché facciamo la spesa, paghiamo le tasse, andiamo a fare tutta una serie di faccende, e via dicendo. Se questo lo potesse fare un robot, riducendo la quantità del nostro lavoro, sicuramente potremmo avere più tempo da dedicare – ad esempio – ai nostri figli.”

Per l’integrazione dei robot nella vita quotidiana, sostiene l’esperto, sarà necessario considerarli come un nuovo tipo di strumento a nostra disposizione. Sorbello dunque spiega che “mi piace pensare che stiamo assistendo alla terza rivoluzione industriale: abbiamo avuto la rivoluzione industriale, abbiamo avuto la rivoluzione con i computer e i cellulari, ed ora una terza rivoluzione con i robot. Il robot diventa sempre uno strumento a nostro servizio, che poi sia dotato di meccanismi più o meno intelligenti, che sia in grado di poter aiutarci o risolvere tutta una serie di problemi – come controllare che il bambino non tocchi la cosa calda o in nostra assenza, quando scendiamo a fare la spesa, o assistere anziani o disabili – questo non lo vedo un problema, lo vedo come un’aggiunta. Naturalmente ci sono dei problemi, e ci sono coloro che sostengono che questo porterebbe ad una sterilità nei rapporti. Non sono d’accordo: I robot non sono un sostituto, sono uno strumento in più che ci permetterebbe di vivere una vita ‘aumentata’.”

Sembra dunque che non saranno i robot a decidere il nostro futuro, ma saremo noi, decidendo come e in quali occasioni impiegare questi nuovi strumenti. Solo con scelte politiche ed economiche ragionate potremo sperare di trarre i benefici maggiori dal processo di automazione, rendendo il nostro rapporto con i robot uno di cooperazione, e non di conflitto.

Articolo realizzato in collaborazione con il Master Sgp

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