Era davvero necessario ricreare in laboratorio un virus simile al vaiolo?

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Viene considerato come una delle malattie più terribili e letali della storia dell’umanità. E ora, il vaiolo potrebbe ritornare. Più precisamente, alcuni ricercatori dell’Università di Alberta in Canada sono riusciti a ricreare da zero un parente del vaiolo, generando immediatamente molta preoccupazione e numerose polemiche tra la comunità scientifica. In altre parole, il fulcro della polemica sta nel fatto che nello studio canadese, apparso sulle pagine di Plos One, vengono riportate tutte le istruzioni per ricreare il virus Hpvx (horsepox virus): una scelta dei ricercatori del paper potenzialmente molto pericolosa, se si pensa che qualche imitatore, con idee malsane, possa sfruttare queste informazioni, dato che la vaccinazione contro il vaiolo si è conclusa in tutto il mondo negli anni ’80 e la maggior parte delle persone non ha l’immunità.

Lo studio, finanziato da Tonix, una casa farmaceutica con sede a New York, aveva suscitato allarmismo già dall’anno scorso, quando si era sparsa la notizia che il virus era stato sintetizzato assemblando 10 singoli frammenti di dna acquistati su internet per circa 100mila dollari (circa 80mila euro).

Sebbene lo scopo dello studio, come precisano i ricercatori canadesi, fosse quello di indagare su come il virus sintetico potesse aiutare a sviluppare un potenziale vaccino più sicuro ed efficace contro il vaiolo, molti esperti avevano riferito che la ricerca non fosse davvero necessaria, sottolineando quanto questa ricerca possa essere un pericoloso esempio di come generare virus mortali, che potrebbero tornare a minacciare seriamente l’umanità.

Ma, nonostante le forti obiezioni da parte del mondo della scienza, lo studio è stato ora pubblicato sulle pagine di Plos One, con annesse le istruzioni.

Inoltre, nel corso di quest’anno, le critiche non sono di certo cambiate, anzi. Alcuni esperti, infatti, sostengono che vaccini sicuri ed efficaci sono già disponibili, come per esempio il Modified Vaccinia Ankara (Mva) e un vaccino giapponese chiamato LC16m8. Alla luce di queste alternative disponibili, alcuni ricercatori stanno continuando ad affermare che la giustificazione della ricerca a un “vaccino contro il vaiolo” non abbia davvero alcun senso. Secondo Thomas Inglesby, direttore del Center for Health Security della Johns Hopkins University la pubblicazione del documento è stato un grave errore. “Il mondo è ora più vulnerabile al vaiolo”, ha riferito a Science.

Certamente questo tipo di polemiche è il punto cruciale quando si parla della cosiddetta dual use research of concern: esperimenti scientifici che migliorano la nostra comprensione, ma che potrebbero anche essere sfruttati erroneamente e rappresentare una seria minaccia per la salute e la sicurezza pubblica. E quest’ultimo potenziale è ciò che più sembra focalizzarsi sulla pubblicazione dello studio sui virus sintetici. “Se qualcuno vuole ricreare un altro virus simile, ora ha le istruzioni per farlo in un unico studio”, ha riferito il virologo Andreas Nitsche del Robert Koch Institute in Germania. Come vi avevamo raccontato alla fine di dicembre scorso, precisiamo che il National Institutes of Health (Nhi) degli Usa aveva annunciato di voler revocare la sospensione (durata tre anni) dei finanziamenti per le ricerche (chiamata gain-of-function) che prevedono la produzione in laboratorio di virus più forti e letali, più di quanto non lo siano in natura, e poter studiare il meccanismo con cui si evolvono e sviluppare così farmaci in grado di allontanare la possibilità di un’epidemia.

In effetti, l’autore della ricerca, il virologo David Evans, aveva precedentemente espresso delle perplessità sul fatto che la sua ricerca potesse essere utilizzata per ragioni sbagliate. “Ho aumentato il rischio mostrando come farlo? Non lo so”, aveva riferito a Science l’anno scorso. “Forse sì, ma la realtà è che il rischio c’è sempre stato. Sono molto più interessato a far progredire la tecnologia che a sviluppare un vaccino”. La creazione del virus sintetico potrebbe aiutare a rispondere a domande di base sulla loro biologia, precisa il ricercatore, dimostrandosi in disaccordo sul fatto che la pubblicazione sia una minaccia per il mondo. “È una tecnologia molto potente e credo abbia moltissime applicazioni, tra cui, per esempio, la progettazione di virus che combattono il cancro”.

Via: Wired.it

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