Il geologo italiano che dà la caccia alle meteoriti in Botswana

(Foto: Peter Jenniskens)

Per astronomi e fisici è un vero tesoro quello caduto dal cielo, agli inizi di giugno, in Botswana. Qui, sopra il cielo della regione africana, si è disintegrato al contatto con l’atmosfera l’asteroide 2018LA ed è precipitato, ridotto in meteoriti, sulla riserva faunistica del Kalahari centrale.

Un team di esperti di Botswana, Sud Africa, Stati Uniti e Finlandia ha ritrovato il primo dei frammenti dispersi, che sarà ora analizzato in laboratori specializzati per identificare la provenienza dell’asteroide. Tra i ricercatori impegnati anche il geologo italiano Fulvio Franchi, che nel 2015 ha lasciato l’Italia e il Cnr di Bologna – dov’era un ricercatore precario con una borsa post-doc – per andare a insegnare nella giovanissima Università del Botswana.

Tra qualche giorno Franchi tornerà in esplorazione sul campo alla ricerca di ulteriori frammenti. “Il ritrovamento di alcuni giorni fa è un evento eccezionale per la ricerca”, spiega Franchi. “Grazie alle moderne tecnologie noi conosciamo la quasi totalità degli asteroidi di grandi dimensioni che potrebbero potenzialmente entrare nella nostra atmosfera. Poco si sa di quelli di piccole dimensioni, sotto i 20 metri di diametro. Per ricostruire la provenienza di questi asteroidi, e quindi valutarne la pericolosità, abbiamo bisogno di recuperarne i frammenti”.  E non è solo una questione di sicurezza. “Il mio campo d’interesse è quello astrobiologico e planetario. Previa caratterizzazione e catalogazione del meteorite, procederemo ad analisi chimiche volte all’identificazione di potenziali molecole organiche. Secondo alcune avvalorate teorie scientifiche, come quella della “panspermia”, le molecole organiche, ovvero i mattoni della vita, che hanno originato la vita sul nostro pianeta furono trasportati sulla superficie terrestre da meteoriti. Il nostro ritrovamento rappresenta quindi un’opportunità per la comunità scientifica internazionale di analizzare un pezzo di corpo celeste e chissà magari di aggiungere un altro tassello al puzzle di come la vita si sia formata. Nella più grigia delle ipotesi avremo l’opportunità di studiare la composizione mineralogica di un altro pianeta o cometa senza bisogno di costose spedizioni spaziali”.

Il ritrovamento è ancor più rilevante per gli scienziati perché “è la seconda volta nella storia che un piccolo asteroide, circa 2 metri di diametro, identificato al di fuori dell’atmosfera terrestre durante la sua traiettoria d’entrata, è stato poi filmato ed infine ritrovato al suolo”.

La prossima spedizione – la quarta – nella riserva del Kalahari centrale partirà nei prossimi giorni, non appena il Wildlife Department rilascerà i permessi per accedere all’area protetta. “La riserva è uno dei luoghi più remoti del paese e alcune delle aree che stiamo investigando non vedono presenza umana da secoli. La logistica è quindi di cruciale importanza, non possiamo improvvisare spedizioni in quei luoghi. La presenza di ranger è indispensabile per garantire la sicurezza dei ricercatori. A parte la naturale difficoltà delle operazioni dovuta al terreno sconnesso e alla fitta vegetazione (arbusti), va considerata la presenza di numerosi branchi di leoni, licaoni e leopardi solitari” racconta Franchi. Alla ricerca di nuovi frammenti d’asteroide, il team perlustrerà un’area di 200 chilometri quadrati, calcolata dai colleghi Esko Lyytinen e Jarmo Moilanen del Finnish Fireball Network e dal gruppo di ricerca di Peter Jenniskens dell’istituto Seti della Nasa.

Classe ’85 e originario di Brescia, “cervello in fuga” dal nostro Paese pur diretto verso una destinazione insolita, Franchi non prevede di rientrare in Italia molto presto. “Ho sempre amato l’idea di trasferirmi nell’Africa subsahariana e di unire il lavoro da geologo alla passione per l’avventura. Venire qui è stata una delle scelte più felici della mia vita. Il Botswana è una democrazia stabile, il Paese è fantastico e il Governo investe molto sulla ricerca ed educazione universitaria – spiega – Qui tengo tre corsi all’anno e sono leader del mio piccolo gruppo di ricerca, non ci sono baroni o baronie, solo nuovi orizzonti da esplorare”. In futuro tornerà “perché l’Italia e casa mia e le nostre università, come quella di Bologna, sono tra le più prestigiose al mondo”, ma non ora. “Il sistema è ancora troppo saturo, gli stipendi sono miseri e il sistema dei ricercatori a tempo determinato è un tritacarne. Qui in Botswana con dieci anni di esperienza e un buon numero di pubblicazioni diventi professore associato “, racconta il geologo bresciano . “E poi ci sono ancora una marea di cose da scoprire”.

Articolo prodotto in collaborazione con il Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara

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