Un nuovo farmaco contro ebola?

Per la prima volta nel 2015, e dopo i segnali positivi rilasciati negli ultimi aggiornamenti dell’Organizzazione mondiale della sanità, i casi di ebola registrati su base settimanale sono tornati a salire. È di nuovo l’Oms infatti a far sapere che nella settimana che si è chiusa il primo febbraio ci sono stati 124 nuovi casi di persone che hanno contratto l’ebola, con aumenti in ciascuno dei tre paesi maggiormente colpiti: Guinea, Sierra Leone e Liberia.

L’andamento delle scorse settimane, che faceva pensare finalmente a un punto di svolta nell’epidemia che ha causato quasi 9 mila vittime ormai, non va però dimenticato. David Nabarro, inviato speciale delle Nazioni Unite per l’emergenza ebola, fa sapere infatti che si è sulla buona strada per il confinamento dell’epidemia, ma questo non significa che non ci debba attendere nuove fiammate, dal momento che esistono ancora degli hotspots di infezione. Per questo, e anche in previsione dell’arrivo della stagione delle pioggie che potrebbe bloccare le starde rendendo più difficile per gli operatori sanitari muoversi, bisogna mantenere più che mai alta l’attenzione nei confronti del virus, per raggiunger l’obiettivo zero casi. E l’aiuto potrebbe venire anche da un nuovo farmaco testato sul campo.

Si chiama favipiravir ed è un antivirale approvato cometrattamento influenzale lo scorso anno in Giappone. Ma è già da qualche tempo che si pensa che il farmaco potrebbe essere attivo contro il virus dell’ebola, come avevano suggerito le ricerchecompiute in vitro e in vivo e la guarigione dell’infermiera di Medici senza frontiere trattata – anche – con favipiravir. A queste sono seguite quindi quelle sul campo che, come racconta iNew York Times, hanno dato risultati preliminari promettenti, sebbene non per tutti i pazienti.

La notizia infatti è che l’antiinfluenzale dimezza la mortalità nei pazienti con bassi o moderati livelli di virus di ebola in circolo. Non ci sono effetti invece benefici per i pazienti in cui la carica virale sia elevata, suggerendo un possibile utilizzo del farmaco in alcune fasi della malattia (teoricamente quelle inziali). Nello studio, del quale ancora poco si conosce e che continuerà, sono stati arruolati 69 pazienti di età superiore ai 14 anni. Tutti hanno ricevuto il trattamento (l’alta mortalità di ebola e l’assenza di cure ha spinto a dare a tutti i partecipanti il farmaco) con favipiravir, il cui meccanismo d’azione è quello di inibire la replicazione del virus, interferendo con la duplicazione del suo genoma. Il farmaco è stato ben tollerato. I risultati, come anticipato abbastanza positivi per chi aveva una bassa carica virale all’inizio del trattamento, hanno mostrato invece che se il virus è elevato l’antiinfluenzale non basta.

Un’idea potrebbe essere quella di associare il medicinale ad altri tipi di trattamenti, quali la somministrazione di plasmaproveniente da sopravvissuti, in modo da rafforzare anche le difese immunitarie del paziente. Un trial di questo tipo sarebbe possibile, sebbene, avvertono gli esperti, in tal caso non sarebbe semplice capire se gli effetti osservati siano dovuti a un trattamento, all’altro o alla combinazione dei due.

Via: Wired.it

Credits immagine: DFID – UK Department for International Development/Flickr CC

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