Per non ingrassare, regoliamo l’orologio biologico

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(Credits: Szűcs László on Unsplash)

Turni di notte, jet lag, ore piccole. Oggi sono tante le occasioni di sfasamento dell’orologio biologico, quel meccanismo interno che tiene traccia e sincronizza le funzioni fisiologiche nell’arco delle 24 ore. Con conseguenti problemi di salute, visto che quel ticchettio interno dà il ritmo al sonno e anche all’appetito. Un meccanismo complesso, “premiato” con il Nobel nel 2017, a cui continuamente si aggiungono nuovi dettagli. Uno studio giapponese ha ora scoperto un trait d’union tra il funzionamento dell’orologio biologico e l’accumulo di grasso: si tratta di due composti che allungano il periodo del ritmo circadiano agendo su due proteine, CRY1 e CRY2, implicate anche nella differenziazione degli adipociti, la produzione di tessuto adiposo bruno, il “grasso buono“. La scoperta, pubblicata su Nature Chemical Biology, getta le basi di una nuova strategia terapeutica nella cura di patologie come l’obesità. Ne abbiamo parlato con Roberto Manfredini, professore di Medicina Interna all’Università di Ferrara, esperto di cronobiologia e autore del libro Un tempo per ogni cosa (Edizioni Piemme, 2019).

Professor Manfredini, innanzitutto, cosa regola l’orologio biologico?

Il sincronizzatore principale dei nostri ritmi, dunque del nostro orologio, è l’alternanza luce-buio: lo stimolo luminoso dalla retina arriva all’ipotalamo – attraverso una via diversa da quella della visione – e colpisce un gruppo di neuroni, solo 20.000, che funzionano come un pacemaker. La luce blocca la produzione di melatonina, promuovendo lo stato di veglia/attività, mentre il buio ne attiva la produzione e l’organismo è messo a riposo. Tutte le cellule e gli organi sono coinvolti in questo complesso meccanismo a volte con propri orologi secondari in parte sincronizzati con il principale”.

In che modo l’orologio biologico può influire sull’obesità?

“L’orologio circadiano – durata di circa un giorno – controlla il ritmo sonno/veglia, e anche processi biologici come la secrezione di ormoni, la temperatura corporea, il comportamento alimentare e le funzioni metaboliche cellulari. L’alterazione dei ritmi biologici agisce da ‘desincronizzatoredell’orologio e quindi delle funzioni che controlla. Ad esempio, il lavoro a turni è un desincronizzatore cronico. I lavoratori notturni, ma anche semplicemente chi resta sveglio più a lungo – i soggetti con cronotipo gufo, modificano il proprio ritmo biologico e ricorrono all’assunzione di stimolanti come caffeina e teina o di cibi, molto spesso poco sani, cui segue l’incremento di insulina, e altre varie alterazioni, che causano l’aumento di peso, fino ad arrivare ai quadri clinici della sindrome metabolica e del diabete mellito. Inoltre, la perdita di ore di sonno fa aumentare l’appetito, per riduzione dell’ormone della sazietà, la leptina, e il sonno stesso controlla attivamente molti dei geni orologio, alcuni deputati alla regolazione dell’uso di carboidrati e lipidi nel fegato.”

Dunque cosa c’è di nuovo nello studio dei ricercatori giapponesi?

“Sappiamo che in risposta allo stimolo luminoso vengono attivati Cry1 e 2 (Cryptochrome), due dei geni orologio (oltre a Bmal1/2, Clock e Per1/2/3) che portano le informazioni per formare le proteine CRY1 e 2 sensibili alla luce e coinvolte nel bloccare la produzione di glucosio nel fegato, in quanto regolatori negativi. Questi ricercatori sembrano essere riusciti a identificare degli specifici composti, KL101 e TH301, in grado di agire sulle proteine CRY 1 e 2, con potenziali importanti effetti sulla possibilità di favorire e potenziare la differenziazione del tessuto adiposo bruno, e quindi la regolazione energetica, gettando così le basi per un’eventuale strategia terapeutica contro l’obesità mediata dall’orologio circadiano. L’eccessivo accumulo di tessuto adiposo è una delle cause principali dei disturbi del metabolismo e la ricerca sul grasso bruno rappresenta un filone importante, proprio perché potere riuscire a stimolare questo tipo di tessuto adiposo, in grado di consumare energia e di aiutare nel mantenimento del peso corporeo, potrebbe rappresentare un’arma molto potente. Ma il percorso, prima di avere riscontri nella medicina di tutti i giorni, sarà lungo”.

Perché il tessuto adiposo bruno è così importante?

“Ormai è chiaro che il tessuto adiposo è più che un insieme di cellule, gli adipociti, che immagazzinano e rilasciano lipidi: è un organo endocrino con un’importante attività metabolica. Gli adipociti bianchi sequestrano i trigliceridi, proteggendo dall’accumulo di lipidi organi come fegato e muscolo, mentre quelli bruni hanno una funzione termogenica, perché bruciano i macronutrienti (grassi, carboidrati, proteine) per produrre calore, ma soprattutto sono attivi nella regolazione di glucosio e insulina, determinando un aumento del consumo energetico. Il tessuto adiposo bruno è ben rappresentato nei bambini e si riduce progressivamente con l’avanzare dell’età, dunque poter stimolare la sua produzione potrebbe giocare un ruolo importante nella prevenzione non solo dell’obesità, ma anche del diabete mellito”.

Allora abbiamo trovato una chiave per battere l’obesità?

“Aiuti dalla ricerca arrivano e arriveranno ancora, ma non bisogna illudersi che scoprire un gene circadiano o regolatore, voglia dire automaticamente avere farmaci in tempi brevi. Quello che sappiamo bene è che sovrappeso ed eccesso di accumulo adiposo, che diviene poi tessuto disfunzionale, sono alla base di meccanismi pro-infiammatori, iperlipidemici e di aumentata resistenza all’insulina che favoriscono alterazioni metaboliche da cui può derivare il diabete mellito di tipo 2. L’arma principale è la prevenzione giornaliera a partire da oggi, anzi da ieri, soprattutto nelle giovani generazioni: l’obesità infantile sta diventando, nei paesi più ricchi, un vero e proprio pericolo.

Come si fa prevenzione?

I capisaldi sono un appropriato regime dietetico con rispetto degli orari, digiuno notturno di 12 ore dalla cena alla colazione, adeguata attività fisica, rispetto del fabbisogno di sonno, molto elevato nei giovani, e possibilmente eliminazione o riduzione, la più drastica possibile, dell’utilizzo di dispositivi elettronici di sera o di notte. Prima che sia troppo tardi”.

Riferimenti: Nature Chemical Biology

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Credits immagine: Szűcs László on Unsplash

Articolo prodotto in collaborazione con il master Sgp della Sapienza Università di Roma

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