Occhi puntati sull’ozono

Prevedere e possibilmente contenere future perdite di ozono nell’atmosfera artica e nel resto del globo puntando l’attenzione sui due poli terrestri. Con questo obiettivo lavorano indipendentemente due gruppi di ricercatori, uno americano e l’altro europeo. E proprio oggi, 21 settembre, la Nasa lancia Quiktoms (Quick Total Ozone Mapping Spectometer), uno spettometro in grado di mappare i livelli di ozono nell’atmosfera del nostro pianeta. Con gli occhi puntati ai poli ci sono da una parte gli scienziati del Knmi (Royal Netherlands Meteorological Institute), dall’altra gli americani del Goddard Space Flight Center della Nasa. Osservando il Polo Sud i primi, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea, sono riusciti a quantificare l’estensione del buco dell’ozono al di sopra dell’area antartica: 25 milioni di chilometri quadrati, pari a una perdita di 25 milioni di tonnellate di ozono. Un risultato reso possibile dalla combinazione del monitoraggio del satellite ESR-2 con l’uso di computer super veloci in grado di elaborare precise mappe dello strato di ozono in appena poche ore. Il team americano guidato da Paul Newman sta monitorando invece il Polo Nord. Poiché, sebbene in questa zona non si sia verificato un vero e proprio “buco”, un assottigliamento nello strato di ozono è già avvenuto.

Lo strato di ozono si trova nella stratosfera, la parte alta dell’atmosfera. Qui la temperatura cambia periodicamente, proprio come varia stagionalmente sulla superficie terrestre. Lo studio della Nasa, comparso sul Journal of Geophysical Research – Atmospheres, sfrutta i dati raccolti nell’arco di 22 anni dal satellite Uars (Upper Atmospheric Research Satellite) per avanzare una nuova teoria, quella delle “onde lunghe”. Si tratta di bande di energia che circondano la Terra che, muovendosi in senso antiorario, si spostano dagli strati bassi dell’atmosfera (troposfera) fino ad arrivare alla stratosfera dove si dissipano innalzando la temperatura. È dunque importante monitorare queste “onde lunghe”, la cui diminuzione sarebbe responsabile dell’abbassamento della temperatura nella stratosfera, un fenomeno che provoca l’assottigliamento dello strato di ozono.

I dati raccolti dall’Esa suggeriscono che il buco di ozono sopra l’Antartico sia comparso nel 1976, anche se fu per la prima volta rilevato all’inizio degli anni Ottanta. Secondo gli scienziati, il movimento circolare dei venti invernali attorno ai poli intrappola aria fredda che favorisce il formarsi di nuvole polari. Con l’arrivo della primavera queste si “sciolgono” innescando reazioni chimiche che rilasciano gas alogeni, come il cloro e il bromo. Sono proprio questi i “nemici” dell’ozono in quanto reagiscono con esso impoverendone la nostra atmosfera. Dunque, un abbassamento periodico dei livelli di ozono al polo è nella normalità. Il problema sorge quando la temperatura si abbassa troppo, tanto da rilasciare eccessive quantità di alogeni. Al di sopra delle zone polari la temperatura è controllata da cambiamenti stagionali, dalle concentrazioni di ozono, di vapore acqueo e di biossido di carbonio e dalle onde lunghe. Il sospetto che da anni gli scienziati cercano di confermare è che le emissioni di gas serra alzano le concentrazioni nella stratosfera di vapore acqueo e di biossido di carbonio, e al tempo stesso diminuiscono le “onde lunghe” aumentando così la presenza degli alogeni.

Ora il monitoraggio condotto da Quiktoms potrà confermare queste teorie: gli scienziati vogliono valutare i cambiamenti nei livelli globali di ozono per poter distinguere di quali cambiamenti sono responsabili agenti naturali e di quali l’uomo. La speranza è che la ratifica del protocollo di Montreal del 1987, che limitò la produzione di fluoroclorocarburi, abbia provocato un miglioramento. Secondo le previsioni se tutti rispetteranno l’accordo lo strato di azoto riacquisterà lo spessore che aveva prima del 1980 intorno al 2050. Staremo a vedere.

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