A ogni gene il suo topo

Un gigantesco archivio di topi mutanti: almeno 22.000, uno per ogni gene murino. Per capire il ruolo e le funzioni di ciascun frammento di Dna, e applicare le nuove conoscenze nella diagnosi di malattie e nella sperimentazione di nuove terapie. E’ l’obiettivo – ambizioso e a lungo termine – di Eucomm (European Conditional Mouse Mutagenesis Programme), il progetto appena finanziato dalla Commissione europea con un investimento di 13 milioni di euro. Eucomm, che è parte di un progetto globale costituito anche dal canadese NorComm e dal Komp, l’iniziativa statunitense promossa dai National Institutes of Health, è stato presentato nel corso della conferenza EuroMouse, a Venezia il 14 e 15 ottobre scorsi. D’altra parte, la genomica funzionale è da tempo al centro dell’interesse dell’Unione europea, che dal 2002 ha stanziato 135 milioni di euro per la ricerca nell’ambito del Quinto e Sesto Programma Quadro. Perché puntare sul topo? “Perché questo mammifero è praticamente un ‘piccolo uomo’”, spiega Glauco Tocchini Valentini, direttore dell’istituto di Biologia cellulare del Cnr e direttore di Emma (European Mutant Mouse Archive) Monterotondo, nei pressi di Roma. Nel senso che il suo genoma è molto simile a quello umano: circa il 99 per cento dei nostri geni si ritrovano nel genoma di questo animale, e viceversa. E dunque per molte malattie che colpiscono la nostra specie può essere utilizzato come modello. “Nei nostri laboratori, per esempio, si lavora sul Parkinson, ma il topo è un buon modello anche per malattie complesse come la schizofrenia, l’autismo e così via”, continua il biologo. I ventimila e rotti topi mutanti saranno congelati e conservati in un archivio. Non in carne e ossa, ovviamente. “Si tratterà di cellule staminali, o embrioni, o spermatozoi, cioè materiale in grado di dare origine in particolari condizioni alle diverse varianti di topo”, continua Tocchini Valentini. E saranno a disposizione dei ricercatori di tutto il mondo attraverso la FIMRe, l’organizzazione internazionale nata lo scorso aprile per collegare tutti gli archivi di topi mutanti del mondo: una sorta di enorme biblioteca virtuale dove si parla lo stesso linguaggio e grazie al coordinamento costante si evita di creare duplicati, dei topi-fotocopia. Il vantaggio degli archivi è evidente: ai diversi istituti di ricerca sarà possibile creare topi mutanti per ogni variazione necessaria, in modo standardizzato ed economico. E per la ricerca medica sarà un asso nella manica: l’intero processo consentirà di studiare le funzioni dei diversi geni in un organismo vivente in modo estremamente preciso, e di riprodurre le condizioni patologiche della specie umana accelerando significativamente lo sviluppo e la sperimentazione di farmaci destinati a combattere le più diverse malattie.Inizialmente, spiega il coordinatore dell’archivio europeo, si procederà con la creazione di topi mutanti, cioè animali cui è stato disattivato un gene e che dunque mancano della funzione a questo correlata. Si tratta di una prima fase che durerà quattro o cinque anni. Il bello, però, verrà nelle fasi successive, quando si passerà alla fenotipizzazione, che inizialmente riguarderà circa 500 esemplari. “Supponiamo, ad esempio, di avere un topo che manca del gene che codifica per un determinato recettore”, spiega Tocchini Valentini. In un ambiente che i ricercatori chiamano “mouse clinic”, una sorta di ospedale per topi, si studierà l’animale dal punto di vista del fenotipo, cercando di capire quali problemi nel suo organismo possono derivare dalla disattivazione di quel gene. Che è in fondo quel che fanno i medici quando hanno davanti un paziente: cercare di risalire alle cause di un sintomo.Per arrivare a conoscere tutto quello che nascondono i 22.000 geni del topo (circa il 70 per cento dell’intero genoma murino), però, ci vorrà molto, moltissimo tempo. “Riusciremo ad avere tutti i risultati non prima di 50 anni”, spiega Tocchini Valentini. Perché il processo è lungo e costoso. “Per capire la difficoltà dell’operazione, bisogna pensare alle tante città italiane costituite da una parte romana sottostante, costruita secondo uno schema di linee rette, e da una medievale più complessa, fatta a rete”, continua il biologo. La struttura “romana” è rappresentata dall’informazione nel genoma, di tipo lineare, che però viene utilizzata per costruire una struttura a network, costituita da proteine, cellule e così via. E’ questo passaggio dalla linearità alla complessità che deve essere decodificata: un’operazione che richiederà certamente ancora qualche decennio.

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