A ognuno la sua prevenzione

Nel solo 2007, il Joint United Nations Programme on Hiv/Aids (Unaids) ha stimato due milioni di morti, di cui circa 270mila bambini sotto i 15 anni, 2,7 milioni di nuove infezioni e una popolazione infettata globale di 33 milioni di persone. “Numeri che dimostrano chiaramente come quella dell’Hiv/Aids sia una delle sfide principali per la tutela della salute nel mondo”, scrive il team di Eurosurveillance – giornale specializzato in epidemiologia, sorveglianza, prevenzione e controllo delle malattie infettive co-fondato dalla Commissione Europea – in un editoriale. “Per questo diventa particolarmente importante scegliere le giuste misure di contenimento dell’epidemia”. 

Oggi, primo dicembre, è la giornata mondiale contro l’Aids. Una data che dal 1988 è occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica e aggiornarla sull’epidemia. Ma spesso i messaggi usati dalle grandi agenzie sono troppo vaghi e rischiano di non cogliere nel segno rispetto alla specifica situazione di alcuni paesi e nazioni. Ogni regione del mondo, infatti, presenta una diversa prevalenza dello schema principale di trasmissione della malattia: nell’Unione Europea la via principale di infezione rimane il sesso senza protezione fra uomini; nell’Europa dell’Est e negli stati del Baltico lo scambio di siringhe fra tossicodipendenti; nei paesi africani, invece, la pratica della poligamia. 

Contro la cecità dell’Unaids nei confronti della poligamia si scaglia Helen Epstein, consulente indipendente per la salute pubblica nei paesi in via di sviluppo. In un editoriale sul British Medical Journal, la ricercatrice Usa punta il dito contro le informazioni “parziali” date alle popolazioni africane dove la poligamia è una realtà: lì le campagne si concentrano sui comportamenti considerati a rischio, i rapporti con le prostitute e le relazioni omosessuali, e ignorano invece il fatto che gli uomini hanno rapporti sessuali con più donne. “In Africa non sembra che gli uomini abbiano più partner che in altre parti del mondo”, scrive Epstein. “Semmai, a differenza di ciò che avviene nei paesi occidentali, hanno relazioni stabili e lunghe con più partner, creando così delle autostrade per l’Hiv”. Soprattutto perché nell’ambito di queste relazioni i profilattici non vengono usati.

Calibrare i messaggi sulla riduzione di queste relazioni, o sull’uso del preservativo anche all’interno delle relazioni durature, sarebbe quindi più vantaggioso in termini di prevenzione dell’epidemia, come dimostrano i dati dei paesi dove questo è stato fatto. Al contrario, conclude Epstein, le campagne contro la prostituzione e l’omosessualità hanno raggiunto il solo scopo di aumentare lo stigma e la violenza perpetuata nei confronti di persone già ai margini della società. (l.g.)

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