Acque minerali ai nitrati

Ne consumiamo più di tutti in Europa. Stiamo parlando dell’acqua minerale, di cui gli italiani detengono il primato europeo nella classifica dei consumatori, con 165 litri pro capite e con un fatturato per le case produttrici di 5-6 mila miliardi ogni anno. Un vero e proprio business che permette di scegliere, in base al proprio gusto e alle proprie esigenze, tra 284 marche. Ma anche una passione, dal momento che vengono organizzati “corsi per assaggiatori” e che alcuni ristoranti esibiscono la “carta delle acque”, grazie a cui ogni bottiglia può essere abbinata a una pietanza, quasi si trattasse di vini. Dissetante e disintossicante, l’acqua minerale viene anche usata come integratore alimentare o come bevanda terapeutica. Ecco allora l’acqua ricca di bicarbonato contro l’acidità gastrica o quella ricca di calcio per chi è allergico al latte e ai latticini, e così via a seconda delle carenze di sali minerali e di altri importanti elementi (un uso, a dir la verità, non sempre attento e mirato). Eppure, proprio le acque minerali si trovano oggi sul banco degli imputati, accusate di essere velenose.

L’Associazione di utenti bancari e finanziari (Adusbef) ha fatto pervenire un esposto presso una decina di procure italiane, denunciando valori troppo alti di arsenico, cadmio, bario e, soprattutto, di nitrati. I Nuclei antisofisticazione e sanità dei Carabinieri, la magistratura e i laboratori di analisi sono al lavoro per accertare un presunto “reato di commercio di sostanze alimentari nocive”. Sembra, infatti, che una concentrazione elevata di nitrati indichi la presenza di sostanze cancerogene. E che in quantità superiore ai 25 milligrammi/litro favoriscano la decomposizione di sostanze organiche e, quindi, la formazione di nitriti. Questi, a loro volta, agiscono come potenti veleni sui globuli rossi impedendo al sangue di portare ossigeno ai tessuti. Un pericolo da scongiurare soprattutto per i neonati e per i bimbi fino a un anno di età, il cui apparato digerente presenta una più bassa acidità, la quale facilita la trasformazione dei nitrati in nitriti. Eppure, proprio i limiti fissati dal Ministero della Salute con il decreto del 31 maggio 2001, 45 mg/l per i nitrati e 0,02 mg/l per i nitriti, sono più alti sia di quelli consentiti dalle perizie medico-scientifiche sia di quelli ammessi per l’acqua potabile.

A complicare le cose c’è il fatto che le aziende imbottigliatrici non sono tenute a dichiarare la presenza di tali sostanze. Eppure esiste una direttiva europea sull’etichettatura che parla chiaro. “Ma da noi non viene applicata, quindi è impossibile comminare sanzioni”, afferma Elio Lannutti, presidente dell’Adusbef. In tal caso, “l’etichetta equivale a quanto viene scritto sul foglietto illustrativo delle medicine: non rivela le conseguenze reali, ma risponde alla volontà dei committenti, ossia delle case farmaceutiche, di rassicurare i clienti”. Si può, perciò, parlare a ragione di inganno normativo, portato, per la prima volta, “all’attenzione della magistratura”. A gettare olio sul fuoco, poi, è stato, pochi giorni fa, proprio il Ministero della Salute annunciando in una circolare l’obbligo per bar, pub e ristoranti di vendere soltanto confezioni integre e monodose di acqua. Allo scopo, si leggeva nel testo, di evitare i rischi di contaminazione e la perdita delle caratteristiche delle acque. Una circolare “voluta dalle lobby e dai produttori per raddoppiare il loro business”, ha detto Lannutti. Proprio ieri, tuttavia, il ministro Sirchia ha ritirato la proposta, “spinto dalle proteste dei consumatori, degli esercenti e delle associazioni di categoria preoccupati per i possibili rincari”. L’acqua del rubinetto, dunque, si riprende la sua rivincita. Più sicura, più salubre e, perché no, più gradevole di quella imbottigliata.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here