Le testimonianze di chi soffre di acufene – tra i sintomi del cosiddetto long Covid – sono le più diverse: c’è chi ha cominciato a sentire un fischio nell’orecchio durante un periodo estremamente stressante e (apparentemente) senza una causa scatenante (circa il 30%), chi dopo una serata in un locale molto rumoroso, chi in seguito a un trauma alla testa (anche se appena l’1%). La diagnosi di questo disturbo, inoltre, è sempre stata demandata al paziente e alla propria percezione. Ora, per la prima volta, uno studio ha trovato una correlazione fra acufene e alterazione dell’attività cerebrale negli esseri umani. I risultati sono pubblicati su The Journal of clinical investigation.
Quando l’acufene diventa cronico
L’acufene è la percezione di suoni (rumori o fischi nella maggior parte dei casi) in assenza di fonti sonore esterne. Non viene considerata una malattia, ma un sintomo uditivo che insorge a causa di fattori ambientali e associato anche a una predisposizione genetica. Ne soffre, in maniera occasionale o cronica, quasi il 15% della popolazione, un decimo della quale in forma grave, con un impatto significativo sulla qualità della vita e poche prospettive di migliorare a causa delle non sempre adeguate possibilità terapeutiche. Un grande ostacolo nello sviluppo di strategie efficaci per trattare l’acufene è la mancanza di misure oggettive che possono essere utilizzate per valutare i risultati del trattamento.
Acufene, la pandemia può scatenare i sintomi o peggiorarli
I ricercatori del Karolinska Institutet in Svezia hanno seguito più di 20 mila persone dal 2008 al 2018, per comprendere le dinamiche di transizione da acufene occasionale a costante. I risultati hanno evidenziato come, all’aumentare della frequenza nella percezione occasionale dell’acufene, le probabilità di incorrere in un acufene costante dopo 2 anni aumentano fino al 30 per cento. Quando l’acufene era già costante, inoltre, la probabilità che persistesse era altissima.
La connessione con l’attività cerebrale
Utilizzando un metodo diagnostico che misura l’attività del cervello in risposta a una specifica sequenza di stimoli sonori (l’Auditory brainstem responses, Abr), i ricercatori hanno monitorato 405 individui, 228 con acufene e 177 senza. Nelle persone con acufene costante, l’attività cerebrale – e in particolare la latenza di una particolare onda, l’onda V – mostrava differenze evidenti rispetto alle persone senza acufene, o alle persone che riportavano un sintomo occasionale.
Più di 200 i sintomi associati al Long Covid
“La risposta del tronco encefalico uditivo è il risultato dell’insieme dei neuroni in ogni ‘ripetitore’ della via uditiva” spiega a Galileo Christopher Cederroth, ricercatore al Dipartimento di fisiologia e farmacologia del Karolinska Institutet e primo autore dello studio. “I cambiamenti di latenza che abbiamo osservato sulla quinta onda suggeriscono che alcuni neuroni (quelli del collicolo inferiore) non lavorano più in sincronia, anche in risposta a brevi stimoli. Questo cambiamento nella risposta neurale ai suoni è quello che abbiamo misurato negli individui con acufene costante”.
Verso nuove cure?
“L’unico trattamento raccomandato per l’acufene è la terapia cognitiva comportamentale” dice Cederroth. “Tuttavia, ci sono una serie di nuove alternative di trattamento come la stimolazione bimodale, che emergono come possibili interventi. Saranno necessari grandi studi per fornire una forte prova dei benefici del trattamento, ed è possibile che la latenza dell’onda V dell’Abr diventi una misura di risultato per tali studi clinici”.
Avere un biomarcatore oggettivo, infatti – spiega il ricercatore – dovrebbe servire da stimolo per la ricerca e sviluppo nell’industria. “Finora, la pipeline terapeutica ha avuto paura a causa della mancanza di fiducia nei dati dei questionari, che possono essere influenzati dallo stato mentale. Allo stesso modo, quanto l’acufene possa essere influenzato da un effetto placebo rimane poco chiaro. Quindi, avere una lettura oggettiva come l’Abr fornirà i mezzi per sviluppare e testare ulteriormente i farmaci per silenziare l’acufene”.
Riferimenti: Journal of Clinical Investingation
Credits immagine: Kimia Zarifi on Unsplash