Il primo chip tutto “made in China” era stato battezzato “hanxin” e rappresentava il primo passo verso l’entrata del colosso orientale nel mercato della micorelettronica. In realtà si trattava di un falso: il giovane ricercatore che lo aveva messo a punto, balzato agli onori delle cronache e diventato un eroe nazionale, Chen Jin, non avrebbe fatto altro che copiare alcune specifiche tecniche di un microchip prodotto da Motorola. Anzi, secondo lo scienziato che lo ha denunciato, Chen e i suoi collaboratori avrebbero semplicemente tolto l’etichetta che rendeva riconoscibile il chip sostituendola con il logo “hanxin”. In seguito a queste dichiarazioni l’Università Jiao Tong di Shangai, presso cui Chen lavora, ha aperto un’indagine ora conclusasi con un verdetto netto: non solo Chen ha copiato ma non lo ha fatto neanche bene. La serie “hanxin”, costituita da quattro processori, che avrebbe dovuto essere utilizzata nella produzione di lettori multimediali, non è infatti riuscita a superare i test funzionali fondamentali. Chen, che per questa sua ricerca ha ottenuto dallo Stato circa 11 milioni di euro ora congelati, ha ammesso tutto. (l.g.)