Categorie: Salute

Il legame tra movimento e concentrazione nei bambini con Adhd

(Credits: FotoMediamatic/Flickr CC)

Non basta consentire loro di muoversi, ma è necessario aiutarli a pensare. I bambini con deficit di Attenzione e Iperattività, l’ADHD, si agitano quando cercano di elaborare informazioni a mente, ma se solo conoscessero in anticipo quanti saranno i dati da memorizzare allora potremmo vederli vederli più tranquilli. Questo almeno è quanto suggerisce uno studio pubblicato su Journal of Attention Disorders, guidato da Michael Kofler della Florida State University,

L’iperattività è la caratteristica prevalente dell’ADHD, un disturbo che affligge il 5.29% della popolazione scolastica e ne ostacola il successo. Più frequente nei maschi, l’iperattività rappresenta anche la parte del disturbo più dirompente, quella diagnosticata in almeno due casi su tre, e sicuramente quella che rende più difficile la vita scolastica. A dispetto del sogno degli insegnanti di avere studenti seduti e soprattutto fermi, sono ormai numerosi gli studi che suggeriscono come l’iperattività potrebbe non essere la caratteristica primaria del disturbo ma un modo compensativo con il quale i bambini con ADHD attivano i processi cognitivi. Si muovono quando hanno bisogno di pensare, ma lo fanno per le loro difficoltà nell’uso della memoria di lavoro, quello strumento che consente di organizzare e ordinare una serie di dati nella mente per comprendere un testo o risolvere operazioni di calcolo. Ma secondo lo studio di Kofler agire sulla memoria di lavoro potrebbe essere una strategia per ridurre l‘iperattività.

L’esperimento al centro della ricerca ha riguardato un campione di 25 bambini e bambine di età tra gli 8 e i 12 anni a cui è stato chiesto di ricordare una serie di lettere, numeri e figure e poi di elencarli seguendo un dato ordine. Come da copione, i bambini continuavano a muoversi durante l’intero svolgimento dei test, ma è bastato un semplice accorgimento per ottenere risultati sorprendenti. Pare non avessero bisogno che di sapere quanti dati incasellare a mente, per ridurre l’attività motoria di un quarto rispetto a quella abituale. Come se fare ordine nei dati da ritenere in memoriapermettesse di controllare l’attenzione, l’impulsività, e ridurre l’attività motoria. L’iperattività, secondo questo punto di vista, è il risultato di richieste troppo complesse nell’uso della memoria di lavoro in bambini con ridotta abilità a definire una gerarchia tra stimoli. Agendo su questa, per esempio con richieste più precise, però è possibile ridurre la fatica e l‘iperattività oltre a veicolare, sostenere e controllare l’attenzione.

Lo studio di Kofler e colleghi è fondato su un numero limitato di casi e su cui non tutti gli scienziati concordano, ma le sue potenzialità sono notevoli se si pensa che il disturbo non riguarda solo i bambini. Studi clinici dimostrano come nell’adulto quel deficit nella capacità di portare a termine un lavoro o di organizzare la propria vita in modo lineare sia causato proprio dall’ADHD. A completamento di un quadro clinico articolato vi è la possibilità che l’ADHD non sia solo, ma che sia spesso associato a disturbi dell’apprendimento, dell’umore, della condotta, dell’ansia, del sonno.

Articolo prodotto in collaborazione con il Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara

Gemma Musacchio

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