Africa, la democrazia non può attendere: facciamo la nostra parte

Il concetto di democrazia è del tutto nuovo, recentissimo, per l’Africa, un continente che nel 1945 era ancora interamente colonizzato dall’Europa:Francia, Inghilterra, Italia, Portogallo. Solo l’Etiopia era rimasta indipendente,almeno in teoria, fino al 1936. L’idea di democrazia “approda”quindi in Africa alla fine della colonizzazione, che non è passata senza lasciare traccia. Al momento della loro indipendenza, nel 1960, le ex colonie francesi dell’Africa occidentale ed equatoriale adottarono una organizzazione politica copiata in gran parte dalla Métropole, parola che indicava la Francia.

Realizzati in paesi completamente diversi per economia, sociologia, cultura ed anche religione, spesso attuati da parvenus della politica, questi tentativi di democrazia furono presto ridicolizzati e fuorviati dai nuovi dirigenti,evolvendo rapidamente verso le diverse forme di tirannia che si protraggono fino ad oggi. Certo, non possiamo paragonare la situazione del Senegal,o più recentemente quella del Benin o della Tanzania, con l’esempio aberrante e antidemocratico che ci propone lo Zaire, dove la tirannia è riuscita a sprofondare un paese fondamentalmente ricco nella più nera miseria. D’ altra parte, un certo numero di paesi – Guinea, Mali, Congo,Tanzania, poi Angola e Mozambico, hanno scelto una via che hanno chiamato socialista, ispirandosi all’esempio sovietico e a quello cinese. Scelta che si è presto rivelata un insuccesso dal punto di vista economico e politico, soprattutto perché i contadini africani non erano disposti ad accettare le diverse forme di collettivizzazione.

Nemmeno il neo colonialismo, d’altra parte, può vantare la sua democraticità, poiché questa organizzazione, derivata dal capitalismo, è incapace – esattamente come il capitalismo in ogni parte del mondo- di realizzare una giusta ripartizione del lavoro e dei redditi. Non si potrà costruire una solida democrazia finché le disuguaglianze sociali resteranno così forti, così socialmente inaccettabili. Ma come si può uscire dal capitalismo? La Francia stessa non ci è riuscita nel 1981.

E’ necessario innanzitutto rimettere in discussione l’organizzazione dell’economia mondiale, così come è stata elaborata cinquanta anni fa a Bretton Woods. La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale(FMI) sono stati creati per la ricostruzione e lo sviluppo dei paesi distrutti dalla guerra, dall’Europa al Giappone. Queste organizzazioni, hanno concesso molti prestiti ai giovani Stati, dal momento della loro indipendenza, in quello che è diventato il Terzo Mondo. Li hanno spinti a sviluppare le esportazioni di materie prime (minerali, petrolio) o di colture da reddito: arachidi e cotone, caffè e cacao, hevea da caucciù, banane ed ananas, olio di palma ecc. Sottoposti alle leggi di mercato, i prezzi di questi prodotti sono rapidamente crollati. Pesantemente indebitati, moltipaesi sono stati sottoposti dalle stesse organizzazioni finanziarie internazionali a quegli adeguamenti strutturali che li hanno costretti a ridurre le risorse destinate allo sviluppo umano: educazione, salute, nutrizione.

E’ evidente che non è possibile parlare di democrazia in paesi così impoveriti e rovinati. In queste condizioni le tradizioni di disuguaglianza si accelerano e mantengono le donne in stato di inferiorità. Una ragione in più che non permette di parlare di democrazia. Tanto più che questo stato di disuguaglianza imposto alle donne contribuisce a mantenere,soprattutto in Africa tropicale, un tasso di natalità troppo alto,che la crescita dell’agricoltura non riesce a seguire. Questo tasso di natalità in Africa supera di molto la media mondiale. Mentre la popolazione del pianeta cresce ogni anno dell’1,7% – cioè di 90 milioni di persone – in Africa aumenta del 3% annuo: in 21 anni diventerà il doppio. L’agricoltura di questo continente, tuttavia, non può’ superare l’1 o 2% di crescita annua. E’ anche da questo che deriva la miseria, l’ estrema povertà di una proporzione sempre più alta di africani. La Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione,ci fa sapere che all’alba del 1995 su 52 stati africani 44 soffrono di un’estesa e prolungata scarsità alimentare. Nonostante la Rivoluzione Verde,che d’altra parte non ha interessato l’Africa, dove l’irrigazione è ben poco sviluppata, più di un miliardo di esseri umani soffre ancora troppo spesso la fame.

In queste condizioni, l’Africa dovrebbe ispirarsi all’esempio del Kerala,uno Stato del sud dell’India che dal 1958 è riuscito a sviluppare la scolarizzazione universale di tutti i bambini, maschi e femmine, anche quelli delle famiglie povere e dei villaggi isolati. Trentasette anni dopo,mentre il tasso di crescita annua della popolazione dell’India si avvicina al 2%, con 17 milioni di indiani in più ogni anno, nel Kerala ilt asso è sceso all’ 1,1%. Con la sua vera e propria esplosione demografica, (superata da una ancora più pericolosa esplosione urbana) l’Africa non riuscirà mai a dare una scolarizzazione, cure mediche e soprattutto lavoro a tutti gli africani, condizione primaria per l’ insediamento della democrazia.

L’instaurazione di un vero e proprio stato di diritto e il rispetto dei diritti dell’uomo, della donna e del bambino, sarebbero le basi principali per la costruzione della democrazia. Questa esige una riduzione delle disuguaglianze e lo sradicamento della miseria. Per questo è necessario ispirarsi ad un’altra economia, diversa dal liberalismo e dalla legge del denaro.Una certa forma di socialdemocrazia lascerebbe al mercato l’organizzazione della produzione, ma toglierebbe al capitalismo, incapace di realizzarlo concretamente, il compito della ripartizione del lavoro e dei redditi. Questa costruzione della democrazia dovrebbe tenere conto delle situazioni tradizionali: la divisione in caste e la solidarietà comunitaria. Le rendite vitalizie, come le tontine, e le banche dei poveri, come la Grameen Bankdel Bangladesh, possono in larga misura contribuire a ridurre le diseguaglianze.

Ma ho parlato troppo in nome degli africani, sono loro che devono prendere in considerazione tutti questi problemi e proporre le loro soluzioni. Sta a noi aiutarli, riducendo in primo luogo la disuguaglianza troppo grande tra Nord e Sud. Le Nazioni Unite non hanno, rispetto al gruppo Bretton Woods,abbastanza potere né mezzi. Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, mettendo in primo piano lo sviluppo umano (educazione, salute,nutrizione), base della democrazia, propone una soluzione interessante.Si potrebbe instaurare, parallelamente all’Assemblea generale dell’Onu,un secondo Consiglio di Sicurezza, incaricato soprattutto di ridurre la differenza tra le risorse del Nord e del Sud. Ciò permetterebbe anche di ridurre, insieme allo spreco del Nord, il degrado dell’ambiente. Il nostro abuso di combustibili fossili distrugge il clima dell’Africa – e del mondo- e quindi non permette di stabilire le basi economiche della democrazia.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here