Castrazione chimica, perché non è una vera soluzione

Castrazione chimica

Castrazione chimica per rendere inoffensivo chi si è macchiato di reati a sfondo sessuale. Una soluzione che, in vario modo, esiste da oltre settant’anni, ma che non ha mai smesso di suscitare perplessità. Per l’invasività dell’intervento, che può avere effetti collaterali pesanti, e anche per l’efficacia dal punto di vista rieducativo: non v’è certezza, infatti, che terminato il trattamento gli effetti inibitori permangano. Al punto che nel 2013 l’Assemblea parlamentare del Consiglio Europeo ha ritenuto opportuno chiarire che “nessuna pratica coercitiva di sterilizzazione o castrazione può essere considerata legittima nel ventunesimo secolo”.

Attualmente, la castrazione chimica è prevista – oltre che da alcuni Stati USA (ieri si è aggiunto l’Alabama, con una legge che obbliga i condannati per reati sessuali contro i minori di 13 anni a cominciare la castrazione chimica un mese prima della loro scarcerazione, a proprie spese) in diversi paesi europei – Germania, Danimarca, Norvegia, Belgio e Francia, Svezia, Finlandia. E a quanto pare l’idea si sta facendo strada anche nel nostro paese.

Più volte il vicepremier Matteo Salvini s’è detto favorevole alla castrazione chimica, ritenendola una “soluzione unica” in grado di prevenire altre violenze e intervenire su persone evidentemente malate, “una buona pratica da adottare anche in Italia, come la Lega propone da anni”. Con lui, stando ai risultati di un sondaggio Swg e di una raccolta di firme organizzata dalla stessa Lega, ci sarebbero ben sei italiani su dieci. E non mancano nemmeno le testimonianze in prima persona a favore, come Chris, 52enne pedofilo pentito che, intervistato dalle Iene, ha dichiarato di aver “tratto giovamento” dalla castrazione chimica, cui si sottoporrebbe da dieci anni. Ma è veramente così efficace questo trattamento? E da dove nascono le opposizioni o quanto meno le perplessità nei confronti della castrazione chimica? Precisamente, in che cosa consiste?

Come funziona la castrazione chimica

La castrazione chimica è un trattamento che prevede la somministrazione di ormoni per inibire la produzione e il rilascio del testosterone, l’ormone maschile, da parte dei testicoli. La prima applicazione, nel 1944, impiegava il dietilstilbestrolo, già utilizzato come antiabortivo, poi si passò al benperidolo, un antipsicotico in grado di agire sui centri del desiderio.

Qualche decennio più tardi, nei primi anni Ottanta, si provò con il medrossiprogesterone acetato. La sperimentazione, su 40 soggetti, rilevò una riduzione del desiderio di comportamenti devianti e in generale delle fantasie sessuali, una maggiore capacità di autocontrollo e nessun apparente effetto collaterale. Si decise così che questo fosse il trattamento d’elezione per i soggetti con un lungo trascorso di comportamenti sessuali devianti. Oggi tra principi attivi utilizzati ci sono anche il ciproterone acetato, il bicatalumide e gli analoghi Lhrh, spesso accompagnati da trattamenti con psicofarmaci che sopprimono la libido inibendo l’azione della dopamina (il neurotrasmettitore corresponsabile del desiderio e del piacere sessuale) e stimolando la sintesi della prolattina.

Effetti collaterali

Ovviamente, la castrazione chimica impatta duramente sul piano fisico e psicologico. Tra le prime vittime (oggi) famose della castrazione chimica ci fu, nell’Inghilterra del secondo dopoguerra, il grande scienziato Alan Turing, padre dell’intelligenza artificiale, pioniere della crittografia e tanto altro. Casualmente sorpreso in casa in circostanze di “grave oscenità e condotta indecente” e accusato di omosessualità, Turing, per tornare in libertà fu costretto a sottoporsi per un anno a un “trattamento terapeutico presso un medico qualificato”, una terapia a base di estrogeni. La “cura” fu fisicamente e psicologicamente devastante per Turing, che era anche un atleta. Poco tempo dopo fu trovato morto – probabilmente suicida – nel letto di casa sua, con accanto una mela morsicata, come Biancaneve. 

Purtroppo, infatti, la castrazione chimica non è selettiva: oltre, ovviamente, alla soppressione della libido e all’impossibilità di ottenere un’erezione, il trattamento “femminilizza“, riduce la peluria sul corpo, aumenta l’adipe su fianchi, cosce e mammelle, aumentando così anche il rischio di malattie cardiovascolari, di diabete e osteoporosi.

Analoghe perplessità suscita il “trattamento farmacologico di blocco androgenico totale attraverso la somministrazione di farmaci di tipo agonista dell’ormone di rilascio dell’ormone luteinizzante (Lhrh), ovvero di metodi chimici o farmaci equivalenti” previsto da una proposta di legge presentata il 17 dicembre scorso dal Ministro della Giustizia (poi ritirata). Si tratta infatti di una terapia per malattie tumorali (carcinoma della prostata, carcinoma della mammella, fibromi uterini) che, spiega l’Aifa, ha tra gli effetti collaterali la riduzione della massa muscolare, conseguenze negative sul metabolismo osseo e anemia.

Quanto durano gli effetti della castrazione chimica?

In linea di massima, due-tre mesi dopo la soppressione del farmaco, il testosterone dovrebbe tornare a livelli normali. Tuttavia, come può accadere a chi si sottopone a una cura antitumorale, è possibile che il desiderio sessuale non si recuperi totalmente. Per contro, non v’è certezza che, una volta sospeso il trattamento, non si ritorni a vecchi comportamenti, considerato che la sessualità è mossa anche da fattori biologici e psicologici, non dal solo testosterone. Senza contare che, la stessa impotenza provocata dal trattamento potrebbe innescare a sua volta comportamenti aggressivi e “compensatori”.

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