Alla conquista dell’Universo

È dall’Italia che partirà una delle prossime missioni spaziali. Precisamente dalla Sardegna, dall’aeroporto Tortolì-Arbatax. Dove da qualche settimana si continua a rinviare (causa maltempo) il lancio dell’Usv (Unmanned space vehicle) progettato dal Centro Italiano Ricerche Aerospaziali (Cira). Si tratta di un minishuttle (lungo dieci metri, largo quattro, pesante 1.300 chili) per sperimentare la partenza (e il ritorno) di un velivolo spaziale non solo da una base “ufficiale” come Cape Canaveral o Baikonur in Kazakistan: una navicella da 40 milioni di euro sviluppata negli ultimi sette anni (il progetto è partito nel 2000) con a bordo 500 sensori per il controllo del volo. Il test dei prossimi giorni servirà a provare il rientro: il minishuttle non è munito di alcun propulsore e verrà portato in orbita da un pallone aerostatico (di oltre 100 metri di diametro) a una quota di 20 chilometri di altezza per poi planare alla velocità di Mach 1,05. Durante la “caduta” i sensori acquisiranno dati di carattere aerodinamico e aerostrutturale (infine un sistema di paracadute a tre stadi consentirà l’ammaraggio e il recupero del velivolo).

Ai profani può risultare strano che l’Italia sia all’avanguardia nella ricerca nello Spazio. Ma, almeno in Europa, il nostro paese è fra i principali attori. Se per esempio guardiamo il programma dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) Aurora (il principale progetto di esplorazione dello Spazio del Vecchio continente), il 40 per cento dell’intero valore (circa 700 milioni di euro) proviene dall’Italia. Le priorità di Aurora sono state stabilite agli inizi degli anni 2000 quando l’Esa decise che gli obiettivi europei di esplorazione dello Spazio dovevano essere tre: Marte, la Luna e il satellite di Giove Europa. “Quest’ultimo”, spiega Bruno Gardini, responsabile dell’Esplorazione spaziale dell’Esa, “è un obiettivo molto ambizioso viste le difficoltà tecniche dell’operazione”. Le altre due mete sono invece in stretta relazione. Continua Gardini: “Per noi la Luna rappresenta una piattaforma di test per le missioni su Marte. Una delle più importanti sarà ExoMars, un rover che andrà a caccia di tracce di vita (presente o passata) trivellando la superficie del Pianeta Rosso a 1,5 metri di profondità”.

Ma se con ExoMars (il primo lancio è previsto per il 2013) l’Europa porterà sostanzialmente un robot su Marte, quando è ipotizzabile l’arrivo dell’essere umano? “Non molto presto”, risponde Gardini: “Bisogna considerare che al momento ci sono problemi tuttora irrisolti per un viaggio così lungo (fra l’andata e il ritorno ci vogliono tre anni): la microgravità e le radiazioni provenienti dalle tempeste solari, per ripararsi dalle quali non basterebbero più gli schermi di piombo ma per cui servirebbero materiali ad alto contenuto di idrogeno come l’acqua, possono causare gravi danni all’organismo. Per non parlare dei problemi psicologici. Quando un astronauta va sulla Stazione Spaziale Internazionale (Ssi) o sulla Luna può continuare a guardare la Terra ed è un aspetto che lo rassicura. Su Marte questo non sarebbe possibile”.

Per tutti questi motivi, raggiungere il Pianeta Rosso nel 2030, come hanno più volte dichiarato l’Agenzia Spaziale Usa (Nasa) e Stati Uniti, è un’ipotesi piuttosto lontana dalla realtà. Ciò che invece è verosimile è la partenza – prevista per il 2009 – del Mars Science Laboratory della Nasa, un programma per ispezionare il suolo marziano con dei “trattori” di una tonnellata di peso e con batterie nucleari per assicurare una lunga autonomia. Per questo e tutti i progetti legati a Marte (sono in orbita intorno al pianeta già tre sonde) gli Usa spendono ogni anno 200 milioni di dollari. È invece fra i tre e i quattro miliardi l’investimento che la Nasa ha stanziato per portare di nuovo l’essere umano sulla Luna (2015 è l’obiettivo) e poi per la prima volta su Marte. Soldi che serviranno per mettere a punto una navicella (Orion) che sostituisca l’obsoleto shuttle e un nuovo lanciatore: Ares.

E denaro che servirà anche a contrastare la potenza che più di tutte le altre sta investendo (con ottimi risultati) nell’esplorazione dello Spazio: la Cina. In soli dieci anni la sua agenzia spaziale è passata in pratica dal nulla a portare in orbita un essere umano, anche grazie al costo irrisorio della manodopera. Ora il prossimo passo è la Luna. Ed è anche per questo che gli Usa hanno deciso di ritornare sul nostro satellite: non hanno intenzione di lasciare a un “rivale terrestre” una fetta importante dello Spazio intorno al pianeta Terra (la Nasa pensa a una “colonia” permanente sulla Luna – 180 giorni al massimo – dal 2024).

Qualche passo più indietro della Cina c’è un’altra potenza asiatica, l’India. Che, dopo aver mandato in orbita dei satelliti, sta lavorando per rendere affidabili i propri lanciatori per portare nello Spazio degli esseri umani. Stesso discorso vale per Israele che al momento ha inviato intorno alla Terra solo dei satelliti. E anche l’Iran ci sta provando, cercando di mettersi al più presto in linea con quei paesi che finora sono stati in grado di mandare nello Spazio solo satelliti e non esseri umani. Un po’ come il Giappone, il cui programma spaziale è di modeste dimensioni e la cui massima aspirazione è quella di portare a termine una missione robotica sulla Luna.

E la Russia, il paese che per anni ha conteso agli Usa la palma di superpotenza spaziale? Le sue capacità sono enormi. Basti pensare che negli anni di crisi dello shuttle statunitense, seguiti al disastro del Columbia del 2003, la navicella Soyuz è stata l’unica a rifornire di uomini e provviste la Ssi. Ora le priorità dell’Agenzia Spaziale Russa sono due: migliorare e ingrandire la Soyuz (tre posti al massimo) che ormai ha un design vecchio di 30 anni e un piano di esplorazione umana della Luna, operativo fra il 2015 e il 2020. Mosca è poi molto interessata a uno degli aspetti più di moda dell’esplorazione, quello del turismo spaziale, un business su cui si stanno avventando imprenditori del calibro di Richard Branson (numero uno della Virgin a cui si è affidato l’astrofisico Stephen Hawking per compiere un giro intorno alla Terra) e di Jeff Bezos, il papà di Amazon, che per la sua base spaziale ha acquistato 117.000 ettari di terreni in Texas. Per ora la Russia è l’unico paese in grado di assicurare a chiunque un giro nello Spazio al non troppo economico prezzo di circa 16 milioni di euro (tutti i viaggi fino al 2009 sono già prenotati). Per chi non avesse i soldi e la pazienza di aspettare qualche anno, nessun problema. Basta andare sul sito Win a trip to Space per sperare di vincere un viaggio nello Spazio messo in palio dalla rivista New Scientist. Sbrigatevi, però: il concorso scade il prossimo 30 aprile.

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