Alla scoperta dei Piceni

In tre mila anni di storia ci siamo abituati a pensare alla penisola italica come feudo conteso tra Latini, Etruschi e Sanniti. I primi, popolo di pastori insediato alla foce del Tevere protagonista di mitologiche battaglie e mirabili conquiste, hanno poi progressivamente cancellato la memoria delle culture limitrofe. Così i Latini fondarono Roma, l’Italia, e l’Impero Romano, mentre sullo sfondo si muovevano – ormai destinate a spegnersi – le altre popolazioni. Eppure, nonostante gli Etruschi, i Sanniti o i Galli facessero parte della folta schiera dei vinti, ad essi è stato comunque concesso il privilegio della memoria. Ben altra sorte invece, è spettata a coloro che al di là degli Appennini occupavano il versante medio-adriatico della penisola. Chiamati “stranieri”, la loro discendenza veniva fatta risalire ai Greci. E proprio dai Greci, e in particolare da Callimaco, apprendiamo per la prima volta dell’esistenza dei “Picenti”.

Ora “Piceni. Popolo d’Europa” – mostra itinerante dove agli oltre seicento reperti archeologici si uniscono allestimenti virtuali di necropoli e città – restituisce alla memoria il segreto dei Piceni: popolazione di guerrieri risalente al IX secolo a.C., stanziatasi nelle valli delle Marche e dell’Abruzzo. Con questo percorso archeologico, inaugurato il 12 dicembre scorso a Francoforte, recuperiamo quello che secondo Giovanni Colonna – storico, linguista e presidente del Comitato scientifico che ha curato l’esposizione – “è un tassello perduto della storia che può aiutarci a ricostruire il passato della nostra penisola”. Dal 4 marzo, l’esposizione sarà ospitata contemporaneamente presso il Polo Culturale di Sant’Agostino ad Ascoli Piceno – dove verranno esposti i reperti riguardanti l’intera civiltà picena – e presso il Museo Civico Archeologico di Teramo, dove invece verranno esposti solo i reperti locali. Nell’autunno del 2000 l’intero percorso sarà nuovamente ricomposto e portato a Roma.

Per quasi due secoli sono stati raccolti reperti che stilisticamente ricordavano i manufatti etruschi o quelli greci, ma che si differenziavano da entrambe le culture. Il ritrovamento della statua di un guerriero – oggi individuato come “Guerriero di Capestrano” – molto simile ad altre due sculture della zona celtica – il “Guerriero di Hirschlanden” e il “Guerriero di Glauberg” – fece pensare sulle prime a una popolazione gallica, penetrata nella penisola italica più in profondità di quanto si pensasse. Di chi erano dunque quegli oggetti? Solo in un secondo momento, con il ritrovamento di alcune steli a due lingue – il greco e un’altra lingua sconosciuta, ma con elementi di somiglianza sia con il greco che con il latino e l’etrusco – si cominciò a comprendere che nel gran mucchio dei Picenti, tra le popolazioni del sud e quelle del nord, doveva esserci stato un terzo ceppo fino ad allora ignoto.

A questo punto le ipotesi erano due: o questa popolazione era nata dalla fusione delle varie culture ad essa confinanti (Etruschi, Latini, Greci e Galli), oppure essa era nata prima delle altre – o al massimo contemporaneamente – e le aveva influenzate un po’ tutte. La differenza in termini qualitativi non è poca. Ancora una volta sono i reperti archeologici a chiarire l’enigma: la presenza sul territorio di tumuli funebri a forma circolare è stato l’elemento cronologico determinante. Tali costruzioni si presentano infatti presso le altre culture solo nell’età del ferro, mentre quelle dei Piceni risalgono all’età del bronzo, ossia a un periodo precedente. La direzione delle influenze culturali è stata dunque stabilita inequivocabilmente.

Ma chi erano i Piceni? Oggi, grazie al lavoro degli archeologi, possiamo dire con certezza che si trattava di un popolo di guerrieri, originatosi come i Latini dagli Appennini e spostatosi in direzione dell’Adriatico, proprio mentre i Latini si dirigevano verso il Tirreno (IX secolo a.C.). Da allora fino al III secolo a.C. si insediarono stabilmente nelle valli fluviali delle Marche e dell’Abruzzo, sviluppando una cultura di tipo agricolo e manufatturiera. La loro massima fioritura si ebbe intorno al V secolo a.C. quando stabilirono forti rapporti di scambio culturale e commerciale con i Greci a est, con le popolazioni celtiche a nord e con gli Etruschi a nord-ovest. Con il II secolo a.C. finiranno anch’essi per soccombere alla forza colonizzatrice dei Latini. Verranno da essi assimilati e finiranno per scomparire dalla memoria storica per millenni. Eppure la loro riscoperta, oggi, è di grande importanza perché “proprio attraverso la storia delle culture indigene – commenta Giovanni Colonna – possiamo capire le ragioni della varietà etnica italiana. L’orizzonte culturale romano infatti ha livellato le differenze interculturali di quel periodo, ma in verità l’Italia era già allora un mosaico di etnie”.

“Quella operata dai Latini”, prosegue Colonna, “è stata una vera e propria strategia di snazionalizzazione. Non ci sono state vere guerre, ma una lenta e inarginabile colonizzazione delle terre medio-adriatiche, attuata mediante il trasferimento di coloni latini in terra straniera”. Forse è per questo che i Piceni non vengono ricordati neanche tra gli annali dei vinti: perché non hanno mai combattuto una vera guerra contro i romani. Sono stati semplicemente e silenziosamente inglobati nel grande “ager” romano. Ma non bisognerebbe dimenticare che fu proprio un imperatore romano, Adriano, a rendergli il giusto onore, accettando – per la prima e unica volta nella storia dell’impero – una carica municipale ad Atri e costruendo a proprie spese un tempio votivo alla dea Cupra – la dea dei Piceni. Non dovrebbe essere un segreto che il nome di Adriano viene proprio da “Atri”. Uno dei più grandi imperatori romani, forse il più cosmopolita, era dunque di origini picene.

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