Allarme biodiversità, l’Onu: “Rischiamo la sesta estinzione di massa”

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Credit: Gerard Van der Leun/Flickr

Un milione di specie viventi rischia di sparire nei prossimi decenni. Tra queste, ricci, pipistrelli, allodole e api: la sesta estinzione di massa sta per cominciare ed è colpa dello sfruttamento antropico. Questo è il devastante allarme biodiversità lanciato ieri dalla Piattaforma Intergovernativa scientifico-politica per la biodiversità e gli ecosistemi (Ipbes) dell’Onu, in un documento approvato all’unanimità da esperti di 130 Paesi, riuniti a Parigi. Un dato scioccante che ci riguarda direttamente: “La salute degli ecosistemi da cui dipendiamo“, denuncia Robert Watson, presidente Ipbes, “così come di tutte le altre specie, si sta deteriorando più velocemente che mai. Il rapporto ci dice che è ancora possibile fare la differenza, ma bisogna agire immediatamente a tutti i livelli, dal locale al globale”.

I numeri dell’allarme biodiversità

L’allarme biodiversità lanciato dall’Onu si basa sul rapporto più esaustivo mai realizzato sulle minacce alla biodiversità: un documento di 1.800 pagine scritto da oltre quattrocento esperti prendendo in considerazione cinque fattori di rischio per gli ecosistemi del mondo: lo sfruttamento di terre e mari, lo sfruttamento degli organismi con allevamento e pesca, il cambiamento climatico, l’inquinamento e l’invasione di specie aliene da altri Paesi del mondo.

Il quadro dipinto dall’Ipbes è drammatico. “Attualmente, si legge nel rapporto, il tasso di estinzione di specie nel mondoè superiore alla media dei 10 milioni di anni precedenti. E non fa che accelerare”. Secondo gli esperti, la minaccia di estinzione nei prossimi decenni riguarda in media il 25% delle specie di vertebrati terrestri e marini, di insetti e invertebrati e di piante. Particolare, rischia di sparire il 40% delle specie anfibie, il 10% delle specie di insetti, tra cui le api, circa il 33% delle barriere coralline, degli squali e dei mammiferi marini. Inoltre, 500.000 specie terrestri vivono oggi in un ambiente talmente ridotto da metterne a rischio la sopravvivenza a lungo termine.

Infografica: Francesca Blamonti, Alice Roffi

Lo sfruttamento umano

La principale causa di questo allarme biodiversità a livello mondiale è lo sfruttamento antropico che ha già modificato drasticamente tre quarti degli ambienti terrestri e i 2/3 di quelli marini. Ad oggi più di un terzo della superficie terrestre e il 75 % dell‘acqua dolce sono destinati ad agricoltura e allevamento e la pesca intensiva ha raggiunto livelli insostenibili per la sopravvivenza di 1/3 dei pesci marini. A complicare ulteriormente il quadro, l’inquinamento delle plastiche, aumentato di dieci volte dal 1980, e 300-400 milioni di tonnellate di metalli pesanti, solventi, fanghi tossici, che ogni anno finiscono nelle acque del globo (per esempio, nel Po).

“Stiamo erodendo i pilastri stessi delle nostre economie, i nostri mezzi di sostentamento, la sicurezza alimentare, la salute e la qualità di vita del mondo intero”, avverte Watson, ricordando che per evitare il peggio serve però un’immediata risposta politica. “Un cambiamento può suscitare l’opposizione di chi ha interessi a mantenere l’attuale status quo, ma questa opposizione va vinta per il bene di tutti”.

Credit immagine: Gerard Van der Leun/Flickr

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