LA RICERCA DI UNA cura contro l’Alzheimer, la più spaventosa delle demenze – 33 milioni di pazienti nel mondo – è costellata di fallimenti. Molecole promettenti ma che alla prova delle sperimentazioni cliniche non hanno funzionato, lasciando sospese le speranze di pazienti e famigliari e mandando in fumo milioni di euro in ricerca e sviluppo. Eppure anche i fallimenti insegnano: possono portare a ripensare le ipotesi o ad aggiustare il tiro, rivedendo la struttura delle sperimentazioni cliniche. Nel caso dell’Alzheimer, l’unica cosa su cui tutti i ricercatori sono d’accordo è che bisogna agire d’anticipo: «Il danno accumulato nel cervello, da ultimo la perdita di neuroni, è irreversibile: non possiamo immaginare di somministrare un farmaco, ancorché sperimentale, in una fase avanzata, la sfida è somministrarlo prima che le lesioni a livello neuronale si conclamino, così da sperare di ridurlo », spiega Sandro Iannaccone, del San Raffaele di Milano. Il suo è il primo centro in Europa per numero di pazienti reclutati per le sperimentazioni su aducanumab, un anticorpo monoclonale che bersaglia le placche di beta- amiloide, la proteina che si accumula nel cervello, danneggiando i neuroni, associata all’Alzheimer.
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