Categorie: Salute

Alzheimer, le promesse di un nuovo farmaco

C’è una luce in fondo al tunnel buio dell’Alzheimer. Ancora troppo fioca per esultare, ma abbastanza, forse, per accendere una piccola speranza per le 44 milioni di persone che, in tutto il mondo, soffrono della temibile demenza neurodegenerativa (nel 2050 saranno 135 milioni). L’azienda farmaceutica Eli Lilly, racconta laBbc, ha infatti appena presentato alla Conferenza internazionale della Alzheimer’s Association, in corso a Washington, i primi studi su una nuova molecola, il solanezumab, che sembra ritardi del 34% la progressione della malattia in pazienti allo stadio iniziale del decorso.

Il farmaco, a differenza degli altri trattamenti, sembra riuscire a prolungare la vita dei cellule cerebrali, attaccando le proteinebeta-amiloidi che formano le placche tipiche della malattia e responsabili, per l’appunto, della morte dei neuroni. I trial clinici precedenti, condotti nel 2012, non avevano avuto esiti positivi. Ma un esame più approfondito dei dati ha mostrato che la molecola potrebbe invece funzionare su soggetti nelle fasi iniziali della malattia.

Alla luce di questi risultati, i ricercatori hanno deciso di prolungare la sperimentazione, scoprendo che i pazienti che hanno assunto il farmaco per più tempo ne hanno avuto i maggiori benefici: “Se i nostri risultati dovessero essere replicati”, spiega Eric Karran, direttore della ricerca alla Alzheimer’s Association Uk, “avremmo compiuto un grande passo avanti nella ricerca sulla malattia, e per la prima volta la comunità scientifica potrà dire di essere in grado di rallentarne il decorso, il che rappresenta un incredibile avanzamento”.

È da sottolineare ancora, comunque, che si tratta di risultati assolutamente preliminari, specie alla luce delle ridotte dimensioni del campione di pazienti studiati, “l’equivalente scientifico di un sondaggio prima delle elezioni o del trailer di un film”. È una ricerca che fornisce sicuramente suggerimenti interessanti, ma ancora niente di definitivo. Per avere risultati più corposi bisognerà aspettare almeno un anno.

Via: Wired.it

Credits immagine: Kalvicio de las Nieves/Flickr CC

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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