Ambliopia, il movimento fa bene all’occhio pigro

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(Credits: Christo Anestev from Pixabay)

È forse l’immagine più comune che ci viene in mente quando parliamo di ambliopia o occhio pigro: un bambino con occhio bendato. Quello sano, oscurato per far allenare quello “pigro, stimolarlo a recuperare l’acuità visiva. Ora però le neuroscienze suggeriscono una nuova strategia, più semplice e meno invasiva, per riallenare l’occhio pigro. Una strategia che sfrutta un altro tipo di plasticità neuronale, apparentemente in modo contro-intuitivo: bendare l’occhio colpito da ambliopia ma solo mentre si svolge attività fisica. Per esempio, pedalando per alcuni minuti al giorno sulla cyclette, come suggerisce uno studio pubblicato lo scorso febbraio da un gruppo di ricercatori italiani. Per capirne di più di questo nuovo, rivoluzionario approccio all’occhio pigro Galileo ha parlato con Maria Concetta Morrone, docente di fisiologia all’Università di Pisa.

L’ambliopia o occhio pigro, cosa succede nell’occhio e nel cervello

L’ambliopia, od occhio pigro, è una condizione in cui il cervello fatica a interpretare i segnali che provengono da un occhio, sfruttandolo meno (di qui occhio pigro), e contando per la visione soprattutto sull’altro occhio. Le cause che possono portare all’ambliopia non sono sempre note ma possono essere diverse, ricordano dall’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità-IAPB Italia onlus, come la cataratta congenita, disturbi della vista come astigmatismo e ipermetropia o lo strabismo. Si può nascere con ambliopia o svilupparla in seguito, è una condizione tipica del bambino che si stima colpisca dal 2 al 5% dei bambini al mondo.

Come combattere l’ambliopia

Il trattamento dell’ambliopia è relativamente semplice e in genere risolutivo nell’età pediatrica, fin verso i 10 anni. Le strategie per combattere il disturbo sono diverse. Nel caso di cataratta o problemi alla vista, ovvero di una causa nota certa, il primo passo è quello di risolvere il difetto con occhiali o chirurgia se necessario, ribadiscono dal National Eye Institute americano, per poi cominciare il trattamento riabilitativo dell’occhio pigro. In sostanza si tratta di stimolarlo a lavorare di nuovo, allenandolo. Come? Tappando l’occhio più forte, così che quello ambliope e le vie cerebrali associate siano in qualche modo costrette a funzionare in mancanza dell’altro occhio. In genere lo si fa con una benda o con delle gocce di atropina che rispettivamente impediscono o offuscano la vista dell’occhio più forte. Le terapie, che possono durare mesi o anni, funzionano, tanto più sono precoci. Se l’ambliopia invece non viene curata precocemente, recuperare la vista dell’occhio pigro è difficile e il rischio è di perdere la visione binoculare.

Plasticità cerebrale, la doppia via

L’approccio tradizionale, quello in cui si benda l’occhio più attivo, è una strategia terapeutica che si basa su un tipo di plasticità neuronale, quella mirata a promuovere il funzionamento di circuiti non attivi chiamandoli in causa. “In alcune persone che soffrono di ambliopia però questa tecnica non funziona o funziona poco”, commenta Morrone, “di qui l’idea di promuovere altre forme di plasticità, rinforzando la visione ambliope occludendo l’occhio colpito”. Un approccio di per sé contro-intuitivo, ma che si basa su chiare evidenze nei modelli animali, come raccontava a inizio anno il team di ricerca di Morrone, in una pubblicazione apparsa su Annals of Clinical and Translational Neurology. “L’occhio ambliope attiva comunque dei neuroni a livello corticale e quando occludiamo questo occhio il cervello se ne accorge e cerca in qualche modo di riparare, potenziando l’attività dei circuiti correlati”, spiega la ricercatrice, “Questo aumento della scarica elettrica è dovuto appunto ai neuroni che cercano di aumentare le informazioni in arrivo, ma è un’attività che non dura a lungo, si pensa qualche ora”. L’idea dei ricercatori è stata quella di stabilizzare questa attività, promuovendo la plasticità associata (cosiddetta omeostatica), con l’esercizio fisico. “L’attività fisica è un potente promotore di questa forma di plasticità, anche se non ne conosciamo bene i meccanismi – riprende Morrone – è probabile che siano coinvolti fattori metabolici o che si attivino circuiti cerebrali che collegano aree motorie a quelle visive”.

Il movimento contro l’occhio pigro

Nello studio pubblicato a inizio anno i ricercatori avevamo mostrato che il bendaggio dell’occhio ambliope associato all’attività fisica della cyclette riusciva a far recuperare acuità visiva all’occhio pigro negli adulti. Gli studi sono proseguiti e le promesse della strategia messa a punto dai ricercatori continuano a mantenersi: “Abbiamo applicato lo stesso approccio anche in una decina di bambini con problemi di ambiopia che non avevano risposto ai trattamenti tradizionali e con strabismo: dopo il trattamento l’ambliopia migliorava”, racconta Morrone, “La visione binoculare nei bambini con strabismo non veniva recuperata, ma si osservava un miglioramento di 3 linee nella tabella ottotipica”. Ora, conclude la ricercatrice, spetta a clinici e agli oculisti capire se questo approccio semplice e non invasivo per il trattamento dell’occhio ambliope possa rappresentare una strategia davvero valida, conducendo sperimentazioni cliniche su più grandi numeri. “Non è escluso che lo stesso metodo possa funzionare in altre condizioni, per esempio nella retinite pigmentosa, dove si osserva, anche in stato avanzato la presenza di plasticità omeostatica. In ogni caso parliamo di un intervento che presuppone capacità di movimento, e non sempre con problemi alla vista muoversi è facile”, conclude la ricercatrice.

(Credits immagine di copertina: Christo Anestev from Pixabay)

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