Non sono passati che pochi mesi dall’annuncio degli incoraggianti risultati dell’editing genetico contro l’anemia falciforme e la beta talassemia, che all’orizzonte si profila un nuovo potenziale trattamento per questi pazienti. Che sotto certi aspetti funziona in maniera analoga quello dell’editing genetico, agendo ovvero all’origine della malattia, ma potenzialmente in modo molto più semplice, più diretto. Invece di prelievi, modifiche in laboratorio delle cellule del paziente e re-infusione, la terapia appena presentata al meeting dell’American Chemical Society (ACS) potrebbe consistere appena di un pillola. Ma andiamo con ordine, e cautela.
I risultati presentati all’edizione online del congresso – preliminari, perché pur essendo già in corso una sperimentazione clinica parliamo di una fase I e i dati raccolti si riferiscono per lo più a informazioni che arrivano da esperimenti su cellule e raccolti nei modelli animali – riguardano l’anemia falciforme. Si tratta di una malattia genetica in cui i globuli rossi assumono la caratteristica forma a falce, associata a una maggiore fragilità e rigidità, e possono a causa della loro forma incastrarsi nei vasi sanguigni, rendendo più difficile o impedendo al sangue di scorrere. All’origine della malattia c’è una mutazione nel gene della beta globina, una delle componenti dell’emoglobina, la proteina che trasporta l’ossigeno nel sangue.
Una delle strategie terapeutiche contro questa malattia è quella di compensare la produzione di emoglobina adulta anomala cercano di ripristinare la produzione di un’altro tipo di emoglobina, quella fetale, riservata, come suggerisce il nome, solitamente alla vita fetale e neonatale. In alcuni casi questo sistema di compensazione è naturale, si osserva cioè in alcuni pazienti, che stanno mediamente meglio degli altri.
Per questo si cerca di ripristinarne la produzione. Alcuni ricercatori, come accennato, lo stanno facendo attraverso l’editing genetico di CRISPR/Cas9, mirando a ripristinare la produzione di emoglobina fetale (qui e qui alcuni dei risultati preliminari). Si tratta di interventi importanti, che prevedono prelievo delle cellule del paziente, modifica in laboratorio e re-infusione. L’idea presentata da poco al congresso della ACS promette di essere più semplice, almeno sulla carta: si tratta di stimolare la produzione di emoglobina fetale con una molecola (il potenziale farmaco FTX-6058), che agisce bloccando l’attività di un complesso e contestualmente innalzando i livelli di emoglobina fetale nelle cellule staminali ematopoietiche.
Una strategia che, spiegano dalla Fulcrum Therapeutics che sta sviluppando il potenziale farmaco, può innalzare i livelli di emoglobina fetale nei modelli animali di malattia e in staminali ematopoietiche umane con le mutazioni dell’anemia falciforme. Se si tratta di un’opzione realmente percorribile lo diranno le sperimentazioni cliniche previste, una delle quali (di fase I in soggetti sani) già in corso.
Riferimenti: American Chemical Society
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