Antonio, il dinosauro di Trieste

Nome: Antonio. Provenienza: Trieste. Sesso: strano a dirsi, visto il nome, ma probabilmente femmina. Segni particolari: adrosauro vissuto nel Cretaceo Superiore, circa 78 milioni di anni fa. Dopo il suo lunghissimo sonno, dopo aver tagliato faticosamente 430 metri cubi di roccia e aver pazientemente ripulito il suo scheletro, il 24 novembre scorso Antonio è riemerso in tutta la sua imponenza ed è stato presentato al pubblico.

Ma la storia del ritrovamento di Antonio inizia alla fine degli anni Ottanta, quando un gruppo di ricercatori ritrova alcuni fossili affioranti dalla superficie di una serie di calcari laminati, presso il Villaggio del Pescatore, vicino a Duino in provincia di Trieste. I ricercatori avvisano subito il Museo civico di storia naturale di Trieste che fa partire alcune campagne di scavo per rimuovere immediatamente i reperti superficiali soggetti a degrado atmosferico. Poi, a metà degli anni Novanta, il museo friulano affida gli scavi per riportare alla luce Antonio alla Stoneage, un gruppo specializzato in ricerche paleontologiche.

Antonio è il primo dinosauro italiano scavato e ricostruito nello stesso luogo del ritrovamento. Inoltre è l’esemplare di adrosauro più completo mai ritrovato in Europa e il più antico del mondo. Ma per gli scienziati, che ora lo possono studiare con tutto agio, è soprattutto fonte di continue sorprese. Le sue caratteristiche sono infatti tipiche di un adrosauro primitivo. Ma allo stesso tempo molti indizi fanno pensare che sia diverso da ogni altro esemplare rinvenuto sinora. Innanzitutto le dita delle zampe superiori sono solo tre contro le quattro riscontrate in tutti gli altri suoi simili. Questa caratteristica potrebbe significare una doppia postura di Antonio: a due zampe per spostarsi e correre, a quattro per pascolare. Inoltre, l’adrosauro di Duino presenta una scarsa estensione del femore rispetto alla tibia, una certa rigidità sia del corpo che della coda e una taglia ridotta. Queste caratteristiche peculiari fanno pensare che il dinosauro facesse parte di una colonia che si ritrovò in qualche modo isolata e quindi sviluppò aspetti morfologici unici.

Un particolare, invece, che lo accomuna a tutti gli altri adrosauri è il “becco ad anatra” e il fatto che, come gli erbivori attuali quali lo gnu e l’antilope, vivesse in branchi, come testimoniato dal ritrovamento dei resti di almeno altri trenta esemplari nella zona del Villaggio del Pescatore. La Nonostante fosse vegetariano, Antonio doveva seguire una dieta altamente nutriente per sostenere i suoi 700 chilogrammi per un metro e mezzo di altezza e quattro di lunghezza.

Oltre all’interesse per Antonio in sé, i ritrovamenti nel Carso triestino potrebbero rivoluzionare il modo di valutare la paleografia della zona durante il Cretaceo Superiore. Questi animali testimoniano infatti la presenza di vaste terre emerse laddove finora si era ipotizzata una serie di ambienti prevalentemente marini. Gli adrosauri vivevano infatti generalmente in ampie praterie solcate da fiumi piuttosto lenti. Ed è proprio sulle rive di uno di questi corsi d’acqua che Antonio probabilmente è morto all’età di sei anni. Dopo un brevissimo trasporto, è stato depositato in una laguna o in un lago costiero dove è stato seppellito da fini sedimenti trasportati dall’acqua. La tranquillità dell’ambiente, la composizione chimica dell’acqua e l’assenza di predatori o necrofagi, insieme alla velocità del seppellimento, hanno consentito ai resti organici del dinosauro di conservarsi in modo perfetto nel corso dei lunghi processi geologici che hanno trasformato in roccia gli originali fanghi calcarei incoerenti.

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