Non si ferma l’allarme trivelle nei fondali italiani. Potrebbero essere almeno 70 le piattaforme petrolifere a venire, per un totale di 29.700 km quadrati di mare, tra Adriatico centro meridionale, Canale di Sicilia, Ionio e golfo di Oristano. L’equivalente di una superficie più grande della Sicilia. È l’allarme lanciato da Greenpeace, Legambiente e Wwf Italia che nel corso del convegno “Trivelle d’Italia”, organizzato ieri a Roma, hanno puntato il dito contro l’articolo 35 del decreto Cresci Italia (d.l. 83/2012), che darebbe il via libera a vecchie istanze di prospezione e ricerca in mare, bloccate nel 2010 perché troppo vicine alla costa o alle aree protette. Un vero e proprio “condono” a vantaggio delle compagnie petrolifere, lamentano le associazioni, che ora chiedono la cancellazione dell’art. 35 e un deciso cambio di rotta nella strategia energetica dell’attuale governo, ritenuta “azzardata per l’economia e per l’ambiente”.
Il decreto Cresci Italia estende a tutta la fascia costiera (e non solo alle aree marine protette) il divieto delle 12 miglia per le nuove richieste di estrazione di idrocarburi a mare. Si tratta di un fatto positivo, ma fa anche ripartire tutti i procedimenti per la prospezione, ricerca ed estrazione di petrolio che erano stati bloccati dal decreto legge 128/2010 (Decreto Prestigiacomo) approvato dopo l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizonnel Golfo del Messico. All’articolo 35, infatti, si legge che vengono fatti “salvi i procedimenti concessori (…) in corso, ma anche i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi che siano stati avviati al 29 giugno 2010”.
A questo si aggiunge un altro elemento negativo: con il nuovo decreto la fascia off-limits delle 12 migliaparte dalle linee di costa, cioè dalla battigia,e non come era stabilito precedentemente dalle linee di base (linee che includono golfi e insenature). In poche parole, dicono gli ambientalisti, si tratta di una sanatoria che rimette in gioco le istanze di prospezione e di ricerca nella fascia di interdizione delle 12 miglia introdotta a tutela delle aree protette e delle zone litoranee di pregio. A farne le spese sarebbero ampi specchi di mare al largo dell’Adriatico centro meridionale, già fronte caldo con la Puglia a guidare la protesta anti-trivelle (Vedi Galileo: Trivelle, cosa succede in Puglia?), il canale di Malta, dove sono già attivi due permessi di ricerca, e quello di Sicilia, dove negli ultimi anni le compagnie hanno moltiplicato le richieste per le esplorazioni off-shore.
Ma il gioco vale la candela? Secondo quanto emerso dal convegno, al quale erano presenti anche Francesco Ferrante, Roberto Della Seta, Antonio D’Alì e Daniela Mazzuconi, firmatari di un disegno di legge che chiede l’abrogazione dell’art. 35, la risposta è no: le nostre riserve di greggio sono scarse e le royalties corrisposte dalle compagnie petrolifere irrisorie. “La dipendenza dell’Italia dalle fonti fossili è attualmente al 3%, mentre le rinnovabili sono arrivate al 20% nel 2010”, ha spiegato Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente. “Quest’ultimo è un settore in costante crescita e ha, in termini occupazionali, una valenza superiore a quella prospettata dal rilancio delle attività estrattive”.
Il Governo, infatti, stima in 15 miliardi di euro di investimento e in 25 mila nuovi posti di lavoro l’indotto derivante dallo sfruttamento del greggio ma, ribattono le associazioni, si tratta di un settore destinato a esaurirsi in pochi anni, come sostiene lo stesso ministero dello Sviluppo economico nel Rapporto 2012 della sua Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche: “Il rapporto fra le sole riserve certe e la produzione annuale media degli ultimi cinque anni, indica uno scenario di sviluppo articolato in 7,2 anni per il gas e 14 per l’olio”. Allo stato attuale, la produzione italiana di petrolio equivale allo 0,1% del prodotto globale e il nostro paese è al 49o posto tra i produttori. Secondo le ultime stime del ministero dello Sviluppo economico ci sarebbero nei nostri fondali marini 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe che, ai tassi di consumo attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane e anche attingendo al petrolio del sottosuolo, sopratutto della Basilicata (Vedi Galileo: Basilicata, no alle trivelle vicino l’ospedale), il totale delle riserve certe verrebbe consumato in appena 13 mesi.
Inoltre, sebbene nel decreto Cresci Italia si parli di un incremento delle royalties dal 7 al 10% per il gas e del 4% al 7% per il petrolio, queste cifre restano comunque bassissime rispetto alle aliquote applicate nel resto del mondo (dal 20 all’80%). Le royalties versate nel nostro paese sono le più basse al mondo e sulle 59 società operanti nel 2010 solo 5 le pagavano (ENI, Shell, Edison, Gas Plus Italiana ed ENI/Mediterranea idrocarburi).
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