Categorie: Vita

Attenti a quel riccio

E’ il momento del riccio di mare, per la precisione della varietà Strongylocentrotus purpuratus, che entra nella famiglia sempre più numerosa degli animali di cui è stato sequenziato il genoma. Dopo esseri umani, bovini, cani e quant’altro il genoma di questo piccolo animale marino noto più per i fastidi che dà ai bagnanti che vi camminano sopra, o per le sue qualità una volta servito in tavola, potrebbe sembrare più che altro una curiosità. In realtà, si tratta di uno dei genomi attesi con più impazienza dai biologi, e uno di quelli che promettono di più in termini di ricerca. Come testimonia il fatto che il riccio si sia guadagnato un’intera sezione speciale sul numero di questa settimana di Science.

Per cominciare, quello del riccio di mare è il primo genoma sequenziato appartenente a un deutorostoma non cordato. I deuterostomi sono un gruppo di animali caratterizzati da una modalità di sviluppo embrionale per cui la bocca e l’ano si formano a estremità opposte del corpo, e comprendono, tra gli altri, i phyla cordati (di cui facciamo parte noi) e echinodermi (di cui è un rappresentante appunto il riccio). Di conseguenza, si tratta prima di tutto di un animale più strettamente collegato a noi di quanto non siano i moscerini o i vermi che vengono comunemente usati come animali da laboratorio in biologia.

Il riccio di mare è da almeno un secolo un animale caro ai biologi, perché i suoi embrioni (abbondanti e semplici da manipolare) costituiscono un modello ideale per gli studi di biologia dello sviluppo. E il ruolo di questo organismo negli studi sullo sviluppo è cresciuto ulteriormente nell’era della genetica. Qualche anno fa, per la precisione il giorno 1 dicembre del 1997, un esemplare maschio della specie Strongylocentrotus purpuratus, dell’età di circa 20 anni, ha donato alla scienza qualche millimetro del suo sperma, che è servito in prima istanza a creare una libreria informatica dei geni responsabili dello sviluppo e dell’organizzazione morfologica dell’animale. Si è trattato del primo studio su grande scala della rete di geni che regola lo sviluppo, un quadro completo di come ogni input di ogni gene regolatorio derivi dal comportamento di un altro gene e così via. Ora è il Dna di quello stesso individuo quello sequenziato completamente dal consorzio guidato da George Weinstock del Baylor College of Medicine di Houston.

E il sequenziamento del suo genoma permette di affrontare molte domande relative all’albero evolutivo degli animali, individuando i geni che costituiscono la “cassetta degli attrezzi” dei deuterostomi, comuni a noi e al riccio ma non, appunto, ad altri organismi come gli insetti. Già ora, evidenziano i ricercatori, il genoma del riccio costringe in realtà a rivedere alcune idee consolidate sulla genetica dei vertebrati, perché molti geni che erano considerati prerogativa di questo gruppo di animali si trovano in realtà anche in questo organismo. Inoltre, la sequenza completa permetterà di portare ancora avanti la comprensione dello sviluppo embrionale in questo animale, e di studiare aspetti finora poco compresi del sistema immunitario degli animali.

Il sistema immunitario del riccio si rivela infatti, dopo l’analisi genomica, particolarmente interessante, perché mostra una complessità mai riscontrata sinora in altri animali della parte innata del sistema immunitario. Che è tra l’altro quella tradizionalmente meno studiata in biologia, dove ci si è concentrati soprattutto sulla parte acquisita. Il riccio presenta recettori innati in un ordine di grandezza superiore a quello dei vertebrati; e presenta molti di quegli stessi geni che nei vertebrati sono alla base del sistema immunitario adattivo dei vertebrati. Le ricerche dovranno chiarire come i due sistema si siano modificati nel corso dell’evoluzione. Ma già ora il genoma del riccio permette di capire che, all’interno del più grande gruppo dei deuterostomi, i vertebrati non sono poi così “speciali” dal punto di vista genetico. E che il riccio è molto più simile a noi di quanto non si pensasse.    

Nicola Nosengo

Scrittore e giornalista. Dopo essersi laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Siena ed aver frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, si dedica al giornalismo scientifico, scrivendo articoli sulla tecnologia, sulle neuroscienze e sulla medicina. Pubblica nel 2003 il suo primo lavoro L'estinzione dei tecnosauri, in cui parla di tutte le tecnologie che non sono sopravvissute allo scorrere del tempo. Attualmente tiene una rubrica mensile sulla rivista Wired dedicata allo stesso tema.Tra il 2003 e il 2007 collabora con diverse redazioni come L'espresso, La Stampa, Le Scienze, oltre che aver partecipato alla realizzazione dell'Enciclopedia Treccani dei Ragazzi.Nel 2009 ha pubblicato, con Daniela Cipolloni, il suo secondo libro, Compagno Darwin, sulle interpretazioni politiche della teoria dell'evoluzione.

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