Bambini dopo la crisi

Di fronte a un disastro naturale o a una guerra, l’attenzione generale si concentra sui grandi numeri. Quelli dei morti, dei sopravvissuti, dei costi della ricostruzione. Eppure, dalle coste degli Stati Uniti fino a quelle dell’Oceano Indiano, passando per Haiti e il Cile fino al continente africano, i disastri e il sangue hanno lasciato una traccia in più, indelebile e nascosta, soprattutto nei bambini. Depressi, sfiduciati, in preda all’ansia, i giovanissimi vivono così dopo aver assistito a un evento traumatico e troppo spesso non ricevono l’aiuto adeguato a superare lo stress. La rivista “Child Development” dedica in questo bimestre uno speciale all’argomento, indagando non solo come i bambini affrontano i brutti ricordi, ma anche quali fattori possono aiutarli a vivere meglio. 

I diversi studi hanno preso in analisi le aree geografiche colpite negli ultimi anni da eventi traumatici: lo Sri Lanka per lo tsunami del 2004, New Orleans devastata dall’uragano Katrina nel 2005 e l’Africa afflitta dalla piaga dei bambini soldati. Ed è emerso che ricostruire tempestivamente un ambiente sereno, con delle relazioni sociali sane, genera nei ragazzi una sorta di resistenza allo stress post-traumatico. La prima prova giunge dagli Stati Uniti. I ricercatori del Louisiana State University Health Sciences Center e delle St. Bernard Parish Public Schools hanno scoperto che la rapida ricostruzione delle scuole dopo l’uragano Katrina (la St. Bernard Parish ha riaperto dopo appena due mesi) e la creazione di un ambiente di supporto ha permesso ai bambini di superare meglio il trauma. A distanza di 2-3 anni dal disastro, 400 bambini e ragazzi tra i 9 e i 18 anni che frequentavano le scuole hanno manifestato una diminuzione dei sintomi (depressione, nervosismo, problemi di concentrazione e sonno). Inoltre, il 45 per cento è risultato addirittura resistente allo stress e non presentava problemi psicologici a lungo termine. Una specie di miracolo dovuto anche ai programmi sviluppati all’interno delle classi grazie ai quali i ragazzi hanno potuto confrontarsi tra loro.

La conferma dell’effetto positivo dell’ambiente arriva anche da due studi condotti sui bambini-soldato in Africa. Nel primo, un team dell’Università di Harvard, dell’International Rescue Committe e dell’Us Agency for International Development ha seguito per più di due anni oltre 150 ex ragazzi soldati (10-18 anni) coinvolti nella guerra in Sierra Leone. Tutti avevano vissuto massacri, assistito alla distruzione di villaggi, più di un terzo delle ragazze erano state stuprate e quasi un quarto dei bambini era stato costretto a uccidere o ferire qualcuno. Però, quelli che dopo l’esperienza della guerra si trovavano a vivere in comunità erano meno depressi e più fiduciosi, e coloro che frequentavano la scuola mostravano comportamenti ancor più positivi. Prove più evidenti di resistenza allo stress vengono invece dal secondo studio, condotto dai ricercatori dell’Università di Amburgo (Germania) in un scuola frequentata da 300 ex bambini soldato in Uganda, tra i 11 e i 17 anni. Quasi tutti i ragazzi manifestavano stress, depressione, problemi emotivi e comportamentali. Ma un terzo di essi è risultato resistente allo stress post-traumatico, perché, secondo i ricercatori, a differenza degli altri coetanei viveva in un ambiente familiare sereno e privo di violenza. È dunque chiaro il motivo per cui servono programmi specializzati di sostegno alle famiglie e di formazione per i professionisti. Ma in Sierra Leone le risorse per i servizi della salute mentale sono scarsissime, e in Uganda si conta solo uno psichiatra ogni 1,3 milioni di abitanti. 

Le esperienze meno fortunate dei bambini dello Sri Lanka sembrano rafforzare questa teoria. I ricercatori dell’Università della California di Los Angeles, dell’Harvard School of Pubblic Health e della Claremont Graduate University hanno preso in esame più di 400 giovani tra 11 e 20 anni sopravvissuti allo tsunami. Lo studio ha rivelato che, se il disastro ha avuto un effetto diretto sulla loro salute psichica, la povertà, la violenza in famiglia e la mancanza di alloggi sicuri rappresentano quotidiane fonti di stress che formano un mix devastante per la psiche. Lo dimostra anche un altro studio delle università di Bielefeld e Konstanz (Germania), dell’Università del Minnesota e dalla Vivo Foundation, condotto su circa 1.400 bambini Tamil tra i 9 e i 15 anni, che vivevano a casa o in un ricovero temporaneo per rifugiati. L’80 per cento era stato colpito direttamente dallo tsunami. Ma non solo: la stragrande maggioranza dei ragazzi riportava esperienze legate alla guerra, come aver assistito a bombardamenti o alla vista di corpi senza vita. La somma di più eventi stressanti ha contribuito in maniera sostanziale alle difficoltà di adattamento dei più giovani. “Non bisogna sottovalutare l’effetto della quotidianità degli eventi stressanti”, spiega Gaithri Fernando, professore di psicologia all’Università della California e a capo dello studio: “Servono politiche specifiche che mettano in campo le strategie migliori per affrontare questi problemi”.

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