Basilicata, no alle trivelle vicino all’ospedale

Il primo pozzo petrolifero al mondo nei pressi di un ospedale non si farà. L’Eni, infatti, ha rinunciato alla realizzazione del pozzo Alli2 a Villa d’Agri, in Basilicata. Ma come è andata la vicenda? Lo scorso 1 luglio, il Consiglio Comunale di Marsicovetere presieduto dal sindaco Claudio Cantiani, rilascia alla Agip-Eni, con un solo voto contrario, l’autorizazione di trivellare il pozzo Alli 2 in località Raia, ad appena 200 metri dal centro abitato Villa d’Agri e a 500 metri dall’ospedale omonimo. Dietro questa decisione c’è la necessità di far entrare fondi, rappresentati dalle Royalties dirette che l’Eni sborserebbe in cambio dell’autorizzazione nelle casse del Consiglio. Royalties abbastanza irrisorie: un milione di euro nell’arco di 30 anni. Il che vuol dire 200 euro ad abitante in 30 anni e quindi 6 euro l’anno a persona. La notizia della concessione suscita le immediate proteste dei cittadini e delle associazioni ambientaliste locali – come l’Organizzazione Lucana Ambientalista – e nazionali – come Legambiente e Wwf Italia. Tanta pubblicità negativa per la Basilicata spinge il Governatore della Regione Vito De Filippo a interessarsi alla questione e a discutere con l’amministratore delegato della Compagnia, Paolo Scaroni, l’opportunità di una rilocazione del pozzo. “La Regione Basilicata ha chiesto all’Eni di soprassedere alla realizzazione del pozzo Alli 2 a Villa d’Agri per cercare soluzioni alternative che coniughino le esigenze produttive con quelle di sviluppo del Comune di Marsicovetere ma riducendo l’impatto, sia pure sotto il solo profilo emotivo, sul territorio”, spiega De Filippo. Il quale sottolinea, però, di non ravvisare motivi di allarme nella localizzazione del pozzo vicino all’ospedale.

La situazione della Basilicata
In Basilicata si estrae l’80 per cento del petrolio Italiano e proprio nella Val d’Agri c’è quello che viene considerato il più grande giacimento petrolifero su terraferma d’Europa, che appartiene all’Eni (in cordata con la Shell). Nella Regione sono attivi 55 pozzi petroliferi, 22 concessioni di coltivazione petrolifera, 10 permessi di ricerche ed esistono 720 chilometri di oleodotti sotterranei. Oltre il 70 per cento del territorio lucano è dunque gravato da permessi di ricerca e concessioni. Dei pozzi, almeno 15 si trovano all’interno di aree protette come il Parco del Pollino o il Parco Appenino Lucano, e molti in prossimità di dighe o in prossimità di insediamenti umani. A Viaggiano, poi, si trova il cosiddetto Centro Oli dell’Eni dove arriva tutto il petrolio raccolto nei pozzi della regione e che presto raddoppierà le sue dimensioni, come annunciato dalla stessa compagnia. Inoltre non esiste in Basilicata una rete di monitoraggio ambientale, nonostante tutte queste attività estrattive immettano nell’ambiente sostanze altamente inquinanti come Ipa, Cov, benzene e idrogeno solforato. Quest’ultimo è un gas incolore facilmente infiammabile, sottoprodotto principale di alcuni trattamenti del petrolio; l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (Oms) consiglia di fissarne il limite di rilascio a 0,005 parti per milione; in Italia il limite massimo è di 5 ppm per l’emissione non legata a pozzi e 30 ppm per l’estrazione petrolifera.

“Da dodici anni si aspetta l’osservatorio ambientale sulla Val d’Agri, previsto da un protocollo d’intesa tra la Regione e L’Eni”, ci racconta Maurizio Bolognetti, segretario dei Radicali lucani. L’assenza di questa rete porta a non avere idea dei reali danni provocati dalle varie fasi dell’estrazione e della lavorazione del petrolio. “Una delle fasi più delicate è lo smaltimento dei fanghi utilizzati per agevolare la perforazione da parte delle trivelle. Si sa che vengono impiegate sostanze molto pericolose, ma sulla composizione di questi fanghi di perforazione c’è il segreto industriale. Ad oggi, non ci hanno consentito di poter conoscere la quantità di fanghi prodotti, e come gli stessi siano stati smaltiti”, prosegue l’esponente dei Radicali. “Del resto siamo nella regione dove l’Arpab (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente – Basilicata) per 13 mesi non rivela che un inceneritore – che smaltisce ben 65mila tonnellate di rifiuti all’anno – sta inquinando la falda acquifera del fiume Ofanto” (Qui il link all’intervista di Maurizio Bolognetti all’avvocato Alfondo Fragomeni, fondatore di Sos Lucania ed esperto della situazione petrolifera nella regione).

Gli incidenti
Come mostra il sito della Ola, negli ultimi quindici anni si sono verificati numerosi gravi incidenti di varia natura che hanno contribuito a peggiorare la situazione. Si tratta in primo luogo di incidenti durante il trasporto del greggio prima della costruzione dell’oleodotto, come per esempio quello del 29 novembre 1996, quando, tra Potenza e Sicignano, un’autocisterna era precipita nella scarpata sottostante la strada e poi esplosa. O come quello del 21 gennaio 2000, nel quale si sono scontrate due autocisterne, provocando la perdita di minimo 27mila litri di petrolio, la morte di uno dei due conducenti e l’inquinamento del torrente Fosso delle Fornaci, di un abbeveratoio e dei pozzi di alcuni fondi agricoli. Oppure sono incidenti verificatesi  durante l’estrazione e il trattamento del petrolio. Per esempio, il 4 ottobre del 2002 il presidente della Regione è costretto a sospendere le attività del Centro Oli a causa di un grave incidente all’impianto di desolforizzazione, durante il quale vengono immesse notevoli quantità di sostanze inquinanti nell’atmosfera. Tuttavia dopo appena cinque giorni la sospensione viene revocata. Il 18 novembre 2008, infine, un forte boato si sente dall’impianto di viaggiano e fiamme alte 40 metri, insieme a olio nebulizzato e gas, si sprigionano dal Centro Oli, che viene evacuato. L’Eni parla di normale funzionamento dell’impianto, ma nel frattempo è necessaria l’opera di una squadra di intervento munita di maschere antigas.

Falde acquifere inquinate
Lo scorso agosto, lo stesso Maurizio Bolognetti ha presentato un esposto alla procura della Repubblica di Potenza per denunciare gli effetti del pozzo dell’Eni Cerro Falcone 2 che si trova nelle campagne di Calvello, a centro metri dalla sorgente Acqua dell’abete, nella Val Camastra. Il 26 luglio la sorgente era stata sequestrata dal Corpo Forestale dello Stato a causa della presenza di sostanze inquinanti derivate dal petrolio. “Lo stesso sito era già stato sequestrato nel 2008”, ci spiega Bolognetti, che sottolinea come nel rapporto della Forestale si dichiari la presenza nell’acqua di rifiuti terrosi e rocce di scavo contenenti sostanze pericolose. Inoltre, a inizio anno, ulteriori analisi avevano mostrato una concentrazione di bario tre volte superiore ai limiti previsti dalle legge nella diga del Pertusillo, che fornisce acqua potabile alla Puglia.

Conseguenze sulla salute
In Basilicata l’incidenza della leucemia mieloide non ereditaria, che ha tra le cause anche l’esposizione al benzene, è più alta in Val d’Agri e nella Val Camastra di oltre il 10 per cento rispetto al resto della regione. Ma nessuna ricerca è stata realizzata per capire i motivi di questa incidenza così elevata. Solo ora sembra che sia sul tavolo di discussione uno studio che coinvolge 63 medici di base. “L’unica indagine epidemiologica di un certo valore riguarda gli anni 96-98 ed è stata fatta sui dati presenti nelle schede di dimissione degli ospedali. Già allora era evidente come le popolazioni nelle zone di estrazione corressero un rischio maggiore di sviluppare malattie respiratorie”, racconta sempre Bolognetti.

Il futuro
Il futuro, nonostante, questa parziale “vittoria”, appare sempre color petrolio. All’inizio del 2010 è stata approvata la messa in produzione dei pozzi denominati Cerro Falcone 1, 3 e 4 all’interno del Parco Nazionale Appennino Lucano. A maggio, invece, l’Eni ha ottenuto le autorizzazioni per il pozzo Monte Enoc 1 Or A, anch’esso nel perimetro del parco, e per il pozzo Monte Enoc 6 OR, in prossimità dell’area protetta. “Servirebbe una moratoria delle attività di trivellazione in Lucania, perché abbiamo già dato molto e siamo una zona molto delicata dal punto di vista idrogeologico”, conclude Bolognetti. “La sfortuna della Basilicata è avere tantissimi giacimenti e una scarsa densità abitativa (56 ab/Kmq). Le estrazioni petrolifere rischiano di mettere a repentaglio una risorsa ben più preziosa del petrolio: l’acqua. In un’ottica costi-benefici, possiamo affermare che, a fronte di costi altissimi in termini di impatto ambientale e salute umana, il petrolio non ha portato nessuna ricchezza”.

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