Biomassa, non benzina

Se i brasiliani possono riempire i serbatoi delle loro automobili con un derivato della canna da zucchero, perché in Europa non potremmo fare altrettanto? Usando allo scopo le risorse di biomassa disponibili sul territorio? È quello che si sono chiesti alcuni ricercatori di Danimarca, Finlandia, Ungheria, Italia, Svezia e Paesi Bassi che insieme stanno lavorando a una soluzione del problema. L’ambizione è grande: “abbattere la percentuale di petrolio usato nei trasporti che in questo momento in Europa è del 97-98 per cento”, ha spiegato Witkor Raldow, capo dell’unità “Nuove fonti di energia” della direzione generale Ricerca della Commissione Europea durante la presentazione di quattro progetti di ricerca sulle energie rinnovabili tenutasi a Uppsala lo scorso 16 novembre. Gli obiettivi sono ambiziosi per ammissione di Raldow stesso, ma i ricercatori sono al lavoro già da diversi anni. “Partendo da materiale di scarto di origine forestale e agricolo abbiamo messo a punto un metodo per trasformarlo in etanolo da una parte e combustibile solido dall’altra”, ha spiegato Kati Réczey dell’Università di Budapest per la tecnologia e l’economia. A partire dalla cellulosa e dall’emicellulosa si può infatti produrre etanolo grazie al lavoro di alcuni enzimi che spezzano le molecole fino a trasformarle in carburante. A questo punto però rimane ancora qualcosa del materiale di partenza, la lignina, che può essere usata solo in percentuale minore bruciandola per autoalimentare il processo. Il progetto ha in sostanza migliorato le quattro fasi di lavorazione: la “destrutturazione” fisica del materiale grazie a un pre-trattamento e un ossidazione umida, lo “spezzettamento” delle molecole, la fermentazione grazie a ceppi di lievito ingegnerizzati e infine la distillazione.“Attualmente in Europa ci sono 75,5 milioni di tonnellate di scarti del grano che usando il nostro metodo potrebbero dare luogo a 250 milioni di ettolitri annui di etanolo da usare come combustibile”, spiega ancora la ricercatrice ungherese. Certo si tratta di una tecnologia ancora di laboratorio ma nel giro di alcuni anni dovrebbe essere pronta per il mercato. E se dal punto di vista ambientale non ci sono dubbi che si tratti di un toccasana la biomassa potrebbe diventare anche una risorsa dal punto di vista economico. Secondo un rapporto del Wwf, infatti, l’incremento nell’uso della biomassa potrebbe ridurre l’emissione di anidride carbonica di circa 1000 milioni di tonnellate ogni anno e creare fino a 400.000 posti di lavoro entro il 2020. Quanto poi costerà a regime per i cittadini comprare del carburante prodotto da biomassa dipenderà dal costo dei materiali primi e dal possibile abbattimento dei costi degli enzimi, al momento ancora molto cari.In Italia, così come in Europa, oggi la biomassa è usata principalmente per il riscaldamento domestico. Il Rapporto Energia e Ambiente dell’Enea presentato oggi da Carlo Rubbia scatta una fotografia di questo uso: “negli ultimi anni, per il riscaldamento nel settore civile, si registra un crescente utilizzo di legno sminuzzato e di legno pastigliato in impianti automatizzati; questi impianti sono alimentati sia con prodotti già disponibili (per esempio sansa esausta), sia con scarti di segherie, sia con materiale importato (si valuta una produzione nazionale nel 2001 di 70.000 tonnellate di pastiglie su un consumo di circa 100.000 tonnellate)”.Passare da questo uso “tradizionale” a quello più innovativo è la sfida che diverse équipe di ricercatori europei stanno affrontando. A Uppsala è stato presentato anche un altro progetto finanziato dall’Ue che ha per protagonista la biomassa: questa volta però il prodotto finale è elettricità ottenuta attraverso idrogeno. Anche qui il gruppo di scienziati è eterogeneo: greci, francesi, inglesi, olandesi e italiani (Ansaldo ed Enea).

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