È l’organismo di cui probabilmente conosciamo meglio il corredo genetico, visto che da decenni è l’animale di riferimento per realizzare esperimenti di genetica. Eppure, anche il genoma della Drosophila melanogaster, il moscerino della frutta, presenta un lato oscuro: l’eterocromatina, una parte del Dna che fino a pochi anni fa veniva considerata inutile, perché codifica per la produzione di un numero relativamente limitato di proteine, ma che si sta scoprendo invece essenziale per il funzionamento delle cellule. Un team del dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza, coordinato da Patrizio Dimitri, in collaborazione con il Drosophila Genome Project di Berkeley ha condotto oggi uno studio che aggiunge un nuovo importante tassello nell’esplorazione del funzionamento dell’eterocromatina nella Drosophila. I risultati della ricerca sono apparsi sulla rivista Genome Research.
I ricercatori hanno elaborato una mappa dettagliata della eterocromatina della Drosophila melanogaster che ha permesso di evidenziare al suo interno nuovi geni essenziali. Tra questi, è stato identificato il gene Myosin 81F codificante per una nuova proteina della famiglia delle miosine, che oltre alle funzioni motrici canoniche potrebbe svolgerne altre ancora sconosciute. Inoltre, Myosin 81F, è un gene gigantesco, forse il più grande identificato in Drosophila, con le sue 2 milioni e 500mila coppie di basi di Dna, dimensioni paragonabili addirittura a quelle di un intero genoma batterico. Tali dimensioni sono dovute alla presenza di ampie regioni, gli introni, che rappresentano più del 90% del gene. I grandi introni non codificano un prodotto proteico, ma potrebbero giocare un ruolo importante nel regolare l’attività di Myosin 81F.
“L’eterocromatina – spiega Patrizio Dimitri – è stata da sempre assimilata ad una sorta di discarica genomica di “junkDNA“, ovvero “Dna spazzatura” non a caso anche sui libri di testo di Genetica essa è sinonimo di inattività genetica. In realtà – continua il ricercatore – l’eterocromatina contiene una sorprendente ed eterogenea varietà di sequenze geniche funzionali, alcune di grandi dimensioni, che sono necessarie per lo sviluppo ed il differenziamento cellulare di Drosophila melanogaster. Anche nella specie umana mutazioni del Dna dell’eterocromatina potrebbero alterare lo sviluppo dando origine a patologie ereditarie, sebbene non esistano ancora dati sperimentali a supporto di questa ipotesi”.
La ricerca, durata sei anni, è stata finanziata dal National Institutes of Health (Nih) e dall’Istituto Pasteur-Fondazione Cenci Bolognetti.
Riferimenti: The Release 6 reference sequence of theDrosophila melanogaster genome; Roger A. Hoskins, Joseph W. Carlson, Kenneth H. Wan, Soo Park, Ivonne Mendez, Samuel E. Galle, Benjamin W. Booth, Barret D. Pfeiffer, Reed A. George, Robert Svirskas, Martin Krzywinski, Jacqueline Schein, Maria Carmela Accardo, Elisabetta Damia, Giovanni Messina, María Méndez-Lago, Beatriz de Pablos, Olga V. Demakova, Evgeniya N. Andreyeva, Lidiya V. Boldyreva, Marco Marra, A. Bernardo Carvalho, Patrizio Dimitri, Alfredo Villasante, Igor F. Zhimulev, Gerald M. Rubin, Gary H. Karpenand Susan E. Celniker; Genome Research doi:10.1101/gr.185579.114
Credits immagine: Michael Schmidt/Flickr
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