L’evoluzione dell’orologio biologico nelle popolazioni umane

    Tutti gli organismi viventi regolano le proprie attività in base ad un ritmo circadiano, corrispondente alla durata del giorno, grazie ad un orologio interno costituito da complessi meccanismi molecolari. Tale orologio determina molti parametri fisiologici, tra cui i ritmi sonno/veglia, e si mantiene sincronizzato con il ciclo naturale del giorno e della notte mediante stimoli esterni, il più importante dei quali è la luce solare. Tutti noi sperimentiamo i risultati della desincronizzazione del ritmo circadiano quando un viaggio ci porta in una zona con diverso fuso orario (jetlag), e in alcune malattie psichiatriche come schizofrenia, disordine bipolare e depressione la perdita del ritmo circadiano contribuisce allo sviluppo della sintomatologia.

    Uno studio, nato dalla collaborazione tra Irccs Eugenio Medea, Fondazione Irccs Don C. Gnocchi e Università degli Studi di Milano e appena pubblicato su Genome Biology, ha analizzato le varianti nei geni che codificano per le componenti molecolari dell’orologio biologico umano. Gli autori sono partiti da dati di variabilità genetica per 52 popolazioni che vivono a diverse latitudini e da una considerazione semplice: gli esseri umani hanno avuto origine in Africa, in una regione vicino all’Equatore dove i ritmi giorno/notte sono più o meno costanti durante tutto l’anno e da qui sono migrati, raggiungendo latitudini dove le variazioni stagionali nella durata del giorno e della notte sono molto ampie.

    E’ possibile che, durante la migrazione che ha portato l’uomo a colonizzare il pianeta, il suo orologio biologico si sia evoluto per adattarsi a queste diverse condizioni ambientali? “Certamente, infatti la frequenza di molte varianti in geni che regolano il ritmo circadiano varia in base alla latitudine a cui vivono le popolazioni analizzate – risponde Manuela Sironi, responsabile del gruppo di ricerca del Medea – Questo stesso fenomeno si osserva anche per varianti che predispongono a malattie psichiatriche”. In molti casi, poi, gli autori hanno osservato una connessione funzionale tra tali varianti predisponenti e la regolazione dell’orologio interno.

    Queste osservazioni aggiungono un tassello alla già complessa storia evolutiva delle popolazioni umane, mostrando come l’uscita dall’Africa abbia messo i nostri progenitori a confronto con enormi sfide ambientali.

    Il risvolto pratico riguarda le cosiddette ”cronoterapie”, ovvero la somministrazione di farmaci in precise ore durante la giornata. È estremamente probabile che le varianti identificate nello studio modulino la fascia di massima efficacia per la somministrazione. Inoltre la terapia per alcune forme di depressione e disordine bipolare include la fototerapia (esposizione ad una luce intensa), proprio al fine di regolarizzare il ritmo circadiano. Anche in questo caso le varianti identificate potrebbero consentire la messa a punto di terapie personalizzate. Infine, molti studi hanno dimostrato che il rischio di sviluppare una malattia psichiatrica dipende anche dal mese di nascita. Se questo effetto fosse esercitato da un’interazione con l’orologio interno (come probabile), l’analisi genetica potrebbe consentire l’identificazione dei soggetti a rischio e forse, in un futuro, lo sviluppo di trattamenti fototerapici preventivi.

    Riferimenti: Genetic adaptation of the circadian clock to day-length latitudinal variations and relevance for affective disorders; Diego Forni, Uberto Pozzoli, Rachele Cagliani, Claudia Tresoldi, Giorgia Menozzi, Stefania Riva, Franca R. Guerini, Giacomo P. Comi, E. Bolognesi, Nereo Bresolin, Mario Clerici, Manuela Sironi; Genome Biology doi:10.1186/s13059-014-0499-7

    Credits immagine: via Pixabay

     

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