Bluff islandese

Un falso mito. È lapidario il giudizio di Einar Arnason, genetista dell’Università dell’Islanda a Reykjavik, sul Dna degli islandesi. Il genoma dei suoi compatrioti non sarebbe così omogeneo come finora si era creduto. E qualcuno si spinge perfino oltre il dato scientifico: l’Isola di ghiaccio potrebbe rivelarsi un vero e proprio bluff economico oltre che genetico. Così almeno la pensa chi si oppone al monopolio della deCode Genetics, la società di stanza a Reykiavik che dal 1999 ha in esclusiva la licenza per utilizzare l’enorme database che raccoglie i dati genetici ricavati dalle cartelle mediche della popolazione a partire da trent’anni fa. E che detiene i diritti su queste informazioni anche per il futuro. Si oppone alla politica della deCode, l’Association of Icelanders for Ethics in Science and Medicine (Mannvernd), di cui fa parte l’autore dello studio che sta sollevando le polemiche sul Dna degli islandesi. L’operazione di schedatura della popolazione è unica al mondo ed è stata portata avanti proprio in nome della presunta unicità: il loro isolamento avrebbe infatti permesso al patrimonio genetico di rimanere incontaminato e quindi alle mutazioni di essere più facilmente individuabili. In altre parole, una miniera d’oro per gli studi di biologia molecolare. Un affare che ha portato l’azienda islandese a essere quotata in borsa negli Stati Uniti e ha dichiarare un fatturato di 31,6 milioni di euro nell’anno 2001.Ma a mettere in discussione tutto è arrivato Arnason che sulle pagine degli Annals of Human Genetics spiega che, al contrario di quanto sostenuto finora, il patrimonio genetico degli islandesi è tra i più eterogenei d’Europa. E che la presunta omogeneità è una diretta conseguenza degli errori di calcolo e della considerazione di dati sbagliati da parte della deCode. L’eterogeneità infatti è stata misurata a partire dagli anni Sessanta in base alle variazioni sui gruppi sanguigni e alla presenza di allozimi, polimorfismi enzimatici che segnalano appunto la variabilità genetica. I ricercatori della deCode e dell’Università di Oxford hanno poi confrontato le sequenze ricavate da campioni di Dna mitocondriale – la parte di materiale genetico ereditato solo per via materna – di circa 400 islandesi con quelli degli abitanti di altri paesi europei conservati in diversi database. Arnason ha riesaminato i dati disponibili, evitando di usare i database ma andando direttamente alla fonte originale. Ha confrontato le sequenze di Dna mitocondriale generate dal suo gruppo con quelle della deCode, paragonando poi entrambe le sequenze con i dati degli studi su 26 popolazioni europee. E ha dimostrato così che se si considerano le differenze nei nucleotidi, i costituenti chimici di Dna e Rna, gli islandesi sono tra le popolazioni più eterogenee d’Europa. L’omogeneità sostenuta dalla deCode Genetics, quindi, non sarebbe altro che il frutto di errori contenuti nei database pubblici. “Bisognerebbe basare le analisi su dati primari”, spiega il genetista islandese, “altrimenti gli errori rischiano di propagarsi da una fonte all’altra”. Le polemiche adesso riguardano le conseguenze di questa scoperta, dal momento che fino a poco tempo fa la deCode faceva dell’omogeneità degli islandesi il cavallo di battaglia delle sue ricerche sulle malattie genetiche. E adesso? Kari Stefansson, direttore esecutivo della società sostiene che gli ‘errori’ del database hanno solo un effetto limitato sulla posizione degli islandesi nella gerarchia della omogeneità genetica degli europei. E aggiunge che i dati genealogici della popolazione aiuteranno comunque la ricerca su molte malattie, anche se dovesse esserne confermata la variabilità genetica. D’altra parte, come spiega Peter Forster, genetista all’università di Cambridge, in un commento sugli Annals of Human Genetics, gli errori nelle sequenze di Dna mitocondriale sono molto diffusi. La deCode Genetics ha preso le sequenze del Dna degli islandesi non dalle pubblicazioni originali o da quelle registrate su GenBank/EMBL, il database dei National Institutes of Health che raccoglie le sequenze di Dna a disposizione di tutti i ricercatori, ma da HvrBase, un database tedesco con le sequenze regionali del Dna mitocondriale. Che proprio a causa della quantità di errori rilevati, a oggi, non è disponibile nella sua versione on line.

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