Da cosa è composta la materia oscura? E quando e come si sono formati i buchi neri supermassicci, che sono al centro (quasi) di ogni galassia? Da decenni gli scienziati cercano le risposte a questi quesiti, su cui – soprattutto sulla materia oscura – siamo un po’ arenati. Ora tre astrofisici dell’università di Miami, di Yale e dell’Agenzia spaziale europea (Esa) propongono un nuovo modello che illustra com’è nato e come appare l’universo. La sorgente dei buchi neri che studiamo oggi e della materia oscura, secondo loro, è da rintracciarsi in particolari buchi neri primordiali, formatisi subito dopo il Big Bang, molto prima di quanto prevedono gli altri modelli. Gli autori hanno annunciato che lo studio, disponibile per ora in pre-print su arXiv, è stato accettato per la pubblicazione da The Astrophysical Journal.
Il loro modello parte peraltro ed è costruito sul lavoro di Stephen Hawking sull’argomento, ancora da confermare sperimentalmente. Nuove prove sperimentali su queste teorie potrebbero arrivare dai dati raccolti dal telescopio James Webb Space Telescope lanciato il giorno di Natale, il 25 dicembre 2021. Così forse sapremo se Hawking aveva ragione, ancora una volta.
Ecco come apparirebbe la materia oscura se potessimo vederla
Stephen Hawking: all’inizio c’erano i buchi neri
Lo sappiamo: il noto fisico recentemente scomparso Stephen Hawking, che ci ha lasciato un’enorme eredità scientifica, aveva il pallino per i buchi neri. Secondo una sua ipotesi, avanzata negli anni Settanta insieme all’astronomo e matematico di origine inglese Bernard Carr, ipotetici buchi neri iniziali, detti per questo primordiali, sarebbero i responsabili dell’elusiva materia oscura, la materia invisibile che secondo teorie accreditate costituisce fino all’85% della composizione dell’universo.
Una delle novità introdotta da Hawking e Carr riguarda il fatto che questi buchi neri primordiali, molto piccoli e leggeri, si sarebbero generati nelle primissime frazioni di secondo dopo il Big Bang, prima della nascita delle stelle.
All’inizio, infatti, piccole fluttuazioni nella densità della materia avrebbero causato delle increspature nella trama dell’universo. Le increspature, alla base di un terreno scosceso e grumoso, sarebbero poi collassate dando luogo a questi buchi neri primordiali. L’altra novità riguarda il fatto che secondo Hawking la materia oscura è composta proprio da questa miriade di buchi neri primordiali, rimasti stabili fino ad oggi. Questa teoria non è sostenuta da tutti gli scienziati e qualcuno, anche recentemente, ha sollevato dei dubbi.
Piccoli buchi neri primordiali crescono
I tre autori del lavoro odierno, fra cui l’italiano Nico Cappelluti, affiliato anche all’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), riprendono le teorie di Hawking e le modificano leggermente in un modello alternativo, che, sempre senza far intervenire nuove particelle o nuova fisica, darebbe conto di buchi neri supermassicci e della materia oscura ancora sconosciuta. Cappelluti ha lavorato insieme a Günther Hasinger, direttore scientifico dell’Agenzia spaziale europea, e Priyamvada Natarajan dell’università di Yale.
Secondo i tre scienziati, se i buchi neri primordiali esistessero, bisognerebbe immaginarli come dei semi da cui traggono origine tutti i buchi neri, incluso quello al centro della Via Lattea e quello recentemente “fotografato” al centro della galassia M87. Questi primordiali sarebbero infatti come dei grumi iniziali, a partire dai quali si sono prodotti i loro discendenti enormi. E costituirebbero anche la materia oscura, come previsto da Hawking. Ma come si passa da questi oggetti iniziali e piccoli a quelli supermassicci? Gli autori hanno ipotizzato che stelle e galassie si siano organizzate e ampliate intorno a questi buchi neri dalle dimensioni ridotte. Questi oggetti, infatti, sarebbero infatti riusciti a crescere divorando gas e stelle oppure unendosi ad altri buchi neri.
Il telescopio James Webb Space Telescope, che grazie ai suoi strumenti proverà a ricostruire i primi istanti dell’universo, con la formazione delle stelle e delle galassie, potrebbe aiutare a fare chiarezza sull’eventuale ruolo dei buchi neri primordiali e capire se potrebbero essere dei candidati per la materia oscura.
Via Wired.it