È il sogno cullato da un numero sempre crescente di fisici in varie parti del mondo: costruire un computer così potente da far impallidire quelli attualmente in uso. Sfruttando le leggi della meccanica quantistica. L’ultimo risultato raggiunto in ordine di tempo in questo campo è italiano: come riporta la rivista Nature un team di ricercatori dei laboratori di ottica quantistica all’Università “La Sapienza” di Roma, guidati da Francesco De Martini, docente di fisica nello stesso ateneo, ha messo a punto la versione quantistica della “porta logica NOT”, uno dei principali circuiti di calcolo in un computer. “Per la prima volta”, spiega il leader del gruppo, “abbiamo realizzato una trasformazione quantistica che non è permessa in natura. Precisamente – utilizzando il difficile gergo matematico della teoria quantistica – abbiamo tentato la realizzazione di una trasformazione “anti-unitaria”, ben sapendo che la natura compie soltanto le trasformazioni unitarie”. In un computer classico, le informazioni sono codificate mediante i bit, le due cifre, 0 e 1, di un linguaggio binario, che esprimono rispettivamente i due valori logici: vero o falso. I circuiti elettronici del calcolatore, poi, elaborano i dati ed eseguono i calcoli attraverso la ripetizione a grande velocità di poche operazioni elementari compiute sui bit. Tali operazioni vengono effettuate da dispositivi noti, nel linguaggio informatico, come porte logiche. La porta NOT, in particolare, è il circuito logico che serve a commutare i bit: in pratica, il NOT, equivalente all’operazione logica di negazione, trasforma uno 0 in ingresso in un 1 in uscita, e viceversa. Nel passaggio dal calcolatore classico a quello quantistico, cambia radicalmente la natura delle unità elementari di informazione. Mentre i bit sono elaborati nella sostanza da microchip che, comunque piccoli, obbediscono ai principi della fisica classica, i bit quantici, o qubit, si incarnano direttamente in atomi o in particelle, che rispondono alle leggi della meccanica quantistica, spesso in contraddizione con il normale senso comune. Nello specifico, un bit quantistico, oltre ad assumere i valori 1 e 0 corrispondenti a due stati fisici distinti, può trovarsi anche in una loro “sovrapposizione coerente”: in pratica, può rappresentare simultaneamente entrambi gli stati. Una situazione che crea non poco imbarazzo a livello interpretativo, ma che nel contempo è anche la ragione delle enormi potenzialità che un computer quantico potrebbe esprimere. Tra i vari modi di codificare l’informazione quantistica, De Martini e il suo gruppo hanno utilizzato i fotoni, le più piccole quantità di luce che si possono trasmettere, sfruttando in particolare i loro stati di “polarizzazione”, una proprietà legata alla direzione lungo la quale può oscillare un’onda luminosa. Un singolo fotone può essere preparato in uno di due stati distinti di polarizzazione: in tal caso, esso rappresenta un qubit con valore 1 se la polarizzazione è per esempio verticale, 0 se orizzontale. Le sue proprietà gli possono anche consentire di rimanere sospeso in quel limbo quantistico dove i due valori sono posseduti allo stesso istante. Questo finché non interviene un processo di misura, dopo il quale lo stato di polarizzazione “collassa”, ossia assume definitivamente solo uno dei due valori 1 o 0. Nel loro esperimento, I ricercatori italiani si sono serviti di un sofisticato dispositivo, chiamato amplificatore ottico parametrico (OPA), all’ingresso del quale hanno inserito un fotone preparato in un arbitrario stato quantico di polarizzazione. L’amplificatore ha prodotto in uscita tre fotoni: quello originario, uno a esso identico e un terzo che dopo essere stato misurato ha rivelato, al meglio dell’approssimazione concessa dalla meccanica quantistica, valori di polarizzazione invertiti rispetto a quelli delle altre due particelle di luce. “La trasformazione che ha avuto luogo”, sottolinea De Martini, “è quella propria di una porta logica NOT quantistica, un elemento fondamentale nella futura realizzazione di un computer quantistico”.Si avvicina dunque il momento in cui il mirabolante computer quantico diventerà una realtà? “Personalmente”, ci dice il fisico, “credo che forse neppure i neonati del 2002 vedranno mai un calcolatore quantistico perfettamente funzionante. Tuttavia, i risultati fin qui ottenuti possono essere di fatto considerati una gran parte di un computer quantico”. “Inoltre”, aggiunge il fisico, “la tecnica OPA, inaugurata dal nostro team qualche anno fa, sembra essere un mezzo molto potente per indagare i nuovi processi quantistici. Già stiamo studiando l’applicazione alla crittografia”. Il lavoro portato avanti dal gruppo di De Martini si situa peraltro in quel felice contesto di ricerche innovative che da tempo molti scienziati italiani stanno conducendo sulla computazione quantistica, un ambito nel quale il nostro Paese si trova, per una volta, al fianco delle nazioni scientificamente e tecnologicamente più evolute.