Perché camminare fa bene al cervello

Da oggi abbiamo un motivo in più per diventare dei moderni flâneur, cioè per trascorrere le giornate andando a zonzo per la città e scoprirne le meraviglie, passo dopo passo. Camminare, infatti, non fa bene solo a cuore, muscoli e portafoglio, come sappiamo già da tempo. A beneficiare della passeggiata è anche la mente. Questo perché l’impatto del piede con il suolo determina onde di pressione arteriosa che possono modificare e aumentare in modo significativo il fabbisogno di sangue del cervello. Lo dimostra una ricerca della New Mexico Highlands University (NMHU) di Las Vegas, Stati Uniti, appena presentata al raduno annuale (Experimental Biology) che riunisce oltre 14mila scienziati a stelle e strisce, a lavoro in diverse branche della biologia.

In passato si era convinti che il flusso sanguigno cerebrale fosse involontariamente regolato dal corpo e poco influenzato da esercizio fisico e sforzi. Una credenza smentita da precedenti studi condotti sia dalla NMHU sia da altri atenei che hanno evidenziato come la corsa riesca a regolare la circolazione del sangue al cervello. Adesso la teoria viene confermata dai nuovi dati, che – scrivono i ricercatori – “suggeriscono che il flusso sanguigno cerebrale è molto dinamico e dipende direttamente dalla pressione aortica che, a sua volta, interagisce con gli impulsi di pressione dovuti agli impatti del piede con il terreno”.

L’équipe di studiosi ha utilizzato un ultrasuono non invasivo per misurare la velocità del flusso del sangue all’interno della carotide – l’arteria che distribuisce al cervello il sangue ossigenato proveniente dall’aorta – e il diametro dell’arteria, in modo da calcolare il flusso sanguigno del cervello di 12 giovani sia nel corso di una lenta camminata che durante una sosta in piedi. Analizzando i risultati, i ricercatori hanno scoperto che pure la passeggiata determina delle onde di pressione arteriosa significative che si riflettono in un aumento del flusso di sangue al cervello. Certo, gli effetti sono stati meno rilevanti rispetto a quelli determinati dalla corsa. Ma pur sempre maggiori di quelli che si verificano mentre pedaliamo, dato che in quest’ultimo caso non c’è alcun impatto del piede con il suolo. “Speculativamente”, conclude il team, “queste attività possono ottimizzare l’irrorazione e le funzioni del cervello e determinare un generale senso di benessere durante l’esercizio”.

Riferimenti: Experimental Biology

Rosita Rijtano

Giornalista. Dal 2013 collabora con Repubblica, dove scrive soprattutto di tecnologia e scienza, e co-cura un blog sul cyberbullismo. Esaurita dal lavoro da remoto, ha chiesto asilo politico alla redazione di Galileo.

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