Salute

Cannabis medica, un gargarismo al Cbd potrebbe difenderci dal coronavirus

No, non è assolutamente un invito a farsi le canne, ma c’è la possibilità che alcuni tipi di marijuana (parliamo dell’uso medico) possano alleviare i sintomi di Covid-19 e avere un ruolo preventivo, abbassando le probabilità di venire infettati. A suggerirlo è uno studio in preprint (quindi non ancora sottoposto a peer review) condotto dall’università di Lethbridge, in Canada, che ha testato degli estratti di Cannabis sativa medica ad alto contenuto di cannabidiolo (Cbd) su modelli 3D di tessuti umani, osservando una diminuzione dell’espressione delle proteine Ace2 e Tmprss2, quelle che il coronavirus Sars-Cov-2 sfrutta per entrare nelle cellule.

Lo studio sul Cbd

Il team canadese lavora sugli effetti e le possibili applicazioni cliniche dei cannabinoidi e nel tempo, con il permesso delle autorità del Paese, ha sviluppato più di 800 linee e estratti di Cannabis sativa.

Alla luce del proprio lavoro e sapendo che il cannabidiolo (Cbd) ha proprietà antinfiammatorie, con dilagare dell’epidemia di coronavirus gli scienziati hanno pensato che valesse la pena indagare se la cannabis avesse un qualche effetto sull’infezione da coronavirus. Hanno così screenato le linee e gli estratti ad alto contenuto di Cbd testandone gli effetti su modelli 3D di tessuti umani (bocca, vie aeree e intestino). Alla fine 13 estratti hanno mostrato la capacità di ridurre i livelli di Ace2 e di Tmprss2, le proteine che il virus sfrutta per entrare nelle cellule.

Prevenire e curare?

Secondo i ricercatori, dunque, ci sarebbero prime evidenze che il Cbd è in grado di modulare l’espressione genica delle porte di accesso del virus diminuendone il numero e quindi riducendo la possibilità che infetti le cellule.

Gli autori sottolineano che sono risultati preliminari, ancora da confermare, e che quindi è prematuro pensare a un’applicazione clinica. Tuttavia, se si riveleranno attendibili, i cannabinoidi potrebbero costituire un ulteriore strumento nella lotta al coronavirus. “Il nostro studio è cruciale per l futura analisi degli effetti della cannabis medica su Covid-19”, hanno commentato gli autori dello studio. “Gli estratti di Cannabis sativa ad alto contenuto di Cbd possono diventare un’aggiunta utile e sicura al trattamento dell’infezione, come terapia di supporto”. La ricerca potrebbe inoltre proseguire verso lo sviluppo di “trattamenti preventivi di facile utilizzo sotto forma di collutori per gargarismi” per esempio.

Cannabis e Covid-19: un intero filone di ricerca

I ricercatori dell’università di Lethbridge non sono gli unici a indagare il potenziale ruolo di derivati della cannabis per curare o prevenire l’infezione da nuovo coronavirus. Del resto l’utilizzo di cannabinoidi era già stato valutato in passato per il trattamento della Sars.

La società farmaceutica Tetra Bio-Pharma, per esempio, sta studiando l’effetto che potrebbe avere uno dei suoi cannabinoidi sintetici: l’ipotesi è che possa essere efficace nel ridurre l’infiammazione e l’iper-reattività del sistema immunitario, ma occorreranno studi clinici specifici per stabilirlo.

Anche in Israele esistono diversi studi di questo tipo. Un team dell’Israel Institute of Technology, per esempio, sta conducendo delle ricerche per verificare gli effetti dei terpeni della cannabis nel trattamento di Covid-19 sul sistema immunitario e sul recettore Ace2.

Una precisazione

Tutti gli studi citati hanno come oggetto la cannabis medica o derivati della cannabis, non la marijuana fumata a uso ricreativo, il cui consumo, sottolinea il National Institutes of Health, ha effetti negativi sul sistema respiratorio (infiammazioni, bronchiti, deterioramento dei parametri spirometrici) e può causare sintomi confondenti che renderebbero più difficile un’eventuale diagnosi di Covid-19.

Via: Wired.it

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Credits immagine: Rick Proctor on Unsplash

Mara Magistroni

Nata e cresciuta nella “terra di mezzo” tra la grande Milano e il Parco del Ticino, si definisce un’entusiasta ex-biologa alla ricerca della sua vera natura. Dopo il master in comunicazione della scienza presso la Sissa di Trieste, ha collaborato con Fondazione Telethon. Dal 2016 lavora come freelance.

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