Salute

Carne rossa, mangiarne di meno fa veramente bene alla salute?

Buone notizie per gli amanti della carne rossa: potrebbe non essere necessario ridurre il consumo dei loro piatti preferiti. Dopo che l’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha raccomandato per anni di limitare il consumo di carne rossa e lavorata, un panel internazionale di esperti si è espresso diversamente. Non c’è veramente bisogno di modificare le nostre abitudini, poiché gli effetti benefici sulla salute sarebbero nulli o comunque meno significativi di quanto annunciato in precedenza. Lo studio, pubblicato sugli Annals of International Medicine, comprende una serie di review sistematiche sull’argomento e suggerisce nuove raccomandazioni decisamente controcorrente e meno rigorose rispetto a quelle attuali. Una conclusione controversa, che ha già suscitato più di una polemica all’interno della comunità scientifica.

Effetto trascurabile sulla salute

I ricercatori della Dalhousie University e McMaster University in Canada hanno esaminato in totale centinaia di studi con milioni di partecipanti: la revisione scientifica più completa realizzata finora. Per la maggior parte sono studi osservazionali e di coorte, ma non mancano esperimenti controllati e randomizzati, che hanno confrontato diete con un diverso apporto di carne rossa per un periodo di almeno 6 mesi. Dodici gli studi di questo tipo, tra cui ne spicca uno, il Women’s Health Initiative, con ben 49.000 partecipanti. Dopo aver analizzato questa enorme mole di dati, i ricercatori sono giunti alla conclusione che una riduzione del consumo di carne rossa di tre porzioni la settimana ha un effetto trascurabile, se non addirittura nullo, sull’incidenza di malattie cardiometaboliche e cancro. E sulla base dei risultati, un panel internazionale di 14 membri da 7 paesi diversi ha votato le nuove linee guida: chi mangia carne rossa può continuare a farlo, nelle modalità che preferisce. A patto che non sia sensibile ad argomenti di tipo etico o ambientale, che lo studio non prende in considerazione.

Carne rossa sì o no?

Viene da chiedersi, allora, se quanto pronunciato finora sui rischi legati al consumo di carne rossa e affettati rimanga comunque valido oppure no. Ricordiamo che nel 2015 lo Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro che fa parte dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha classificato come probabilmente cancerogena la carne rossa e sicuramente cancerogena la carne lavorata (salumi, wurstel, salsicce). Si raccomanda quindi di consumare non più di tre porzioni di carne rossa e una porzione di carne lavorata a settimana, sulla base di numerosi studi che hanno confermato l’associazione con malattie come diabete di tipo 2, cancro, malattie cardiovascolari e morte prematura. Un’associazione che lo studio pubblicato sugli Annals of International Medicine non smentisce completamente, ma ridimensiona.

Il problema, secondo gli autori, è che la maggior parte delle raccomandazioni è basata su studi osservazionali, che forniscono risultati deboli e non sempre affidabili. Spesso non riescono a stabilire nessi di causalità solidi e riportano gli effetti nocivi sulla salute in termini di rischio relativo, non assoluto, contribuendo a creare una visione distorta e ben più apocalittica di quanto sia nella realtà. Insomma, le attuali linee guida, così restrittive, si fondano su evidenze limitate. E comunque non hanno mai veramente sortito l’effetto desiderato: le persone, tutto sommato, continuano a mangiare carne come prima. Perché piace, fa parte della cultura e magari le alternative non sono particolarmente appetibili: ignorare questi aspetti, secondo gli autori, costituisce un errore, anzitutto di comunicazione.

Un dibattito ancora aperto

Non sono mancate però le polemiche, tra chi ritiene che annunciare nuove linee guida, controcorrente rispetto a quelle ufficiali e in maniera autonoma dalle istituzioni, sia irresponsabile e addirittura pericoloso per la salute pubblica. Sotto accusa anche i criteri utilizzati per stabilire l’attendibilità dei risultati, cosiddetti GRADE (Grading of Recommendations Assessment, Development and Evaluation), che secondo i critici sono più adatti per le sperimentazioni cliniche randomizzati, come quelle per i farmaci. Sarebbero invece meno affidabili nel caso di studi osservazionali, più comuni nel campo dell’alimentazione. Persino le conclusioni dello studio, come hanno ribadito gli autori stessi, sono da prendere con le pinze: non c’è la certezza, insomma, che continuando a mangiare carne rossa con le stesse modalità non aumentino i rischi per la salute.

Riferimento: Annals of International Medicine

Erika Salvatori

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