Cosa succede in una casa dove vivono più persone e (almeno) una risulta positiva al coronavirus? L’auto-isolamento è sufficiente a prevenire altri contagi? La risposta è: in alcuni casi no, come conferma anche una ricerca condotta dalla Rutgers University, in New Jersey. Molti contagiati non trascorrono tutto il tempo soltanto nella loro camera. Anche per questo, l’indagine mette in evidenza la presenza del virus sospeso in aria – il famoso aerosol di cui si è parlato tanto – negli spazi domestici comuni. E, sebbene non sia la principale via di trasmissione, il contagio via aerosol è possibile ed è alla base di un’ampia fetta di infezioni contratte in ambito domestico. I risultati sono pubblicati sul giornale Annals of the American Thoracic Society.
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Lo sappiamo: molti contagi avvengono fra le mura domestiche. Tuttavia, poche ricerche hanno analizzato il reale impatto di questo fenomeno. A volte quando si viene a conoscenza di un caso di positività il contatto c’è già stato. In altri casi un isolamento non sufficientemente rigido può far rischiare gli altri membri della famiglia. Gli scienziati della Rutgers hanno analizzato 11 abitazioni in cui c’era una persona positiva a Sars-Cov-2, esaminando la presenza del virus negli ambienti della casa e l’eventualità di nuovi contagi. La ricerca include ancora pochi casi ma segnala – o meglio conferma – che il fenomeno di contagio da aerosol esiste. Gli scienziati hanno chiesto ai partecipanti quanto si fossero attenuti alle regole dell’auto-isolamento. Durante l’indagine è emerso che spesso l’attenzione non era elevata. Il 73% dei partecipanti (8 positivi su 11), infatti, hanno riferito di aver trascorso del tempo, da pochi minuti fino a 14 ore, in altre stanze della casa.
Per ognuna delle 11 abitazioni, i ricercatori hanno svolto un campionamento dell’aria per 24 ore attraverso filtri in politetrafluoroetilene. Hanno prelevato campioni sia nella camera della persona positiva e in un’altra stanza della casa e testato 3 geni del virus. I risultati mostrano che tracce del coronavirus – 1 o più geni – erano spesso presenti anche nelle altre camere e negli ambienti comuni della casa. Partendo dalle stanze in cui avviene l’auto-isolamento, almeno un gene del virus è stato trovato in 8 camere su 11. Passando alle stanze comuni, il virus sospeso in aria, sotto forma di aerosol era presente in più della metà dei casi (il 56% dei test).
Non tutti i positivi vivono da soli: in 9 case c’erano conviventi. Arrivando ai contagi, in 2 nuclei familiari su 9, dunque nel 29% dei casi, c’è stato un secondo contagio o c’era un’altra persona che ha manifestato sintomi (la certezza su dove, come e quando è avvenuto non c’è però).
I numeri sono ancora ridotti, ma la ricerca riporta l’attenzione su un tema, quello del contagio di Sars-Cov-2 via aerosol, ampiamente discusso durante tutta la pandemia. Per aerosol si intendono piccole particelle del virus, di dimensioni inferiori rispetto alle goccioline droplet. Ancora non sappiamo con certezza quale quantità di virus in aerosol sia necessaria per causare un contagio e per quanto tempo. Oltre a rispettare l’auto-isolamento in maniera scrupolosa, per ridurre la presenza del virus nell’aria è bene tenere altre misure (mascherine, distanza e lavaggio mani) e ventilare frequentemente gli ambienti. Se utilizziamo i condizionatori, bisognerebbe se possibile evitare la funzione ricircolo, che rimette in circolo l’aria interna, e sfruttare sistemi che prelevano aria dall’esterno. E, anche se si usano i condizionatori, ricordarsi di aprire spesso le finestre.
Riferimenti: Annals of the American Thoracic Society
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