Case-libellula per la Grande Mela

    Può un grattacielo somigliare a una libellula? E funzionare come una fattoria? Per Vincent Callebaut, architetto belga ecologista e visionario, la risposta è due volte sí. Il suo progetto “Dragonfly” – libellula, appunto – combina insieme architettura, agricoltura sostenibile e bionica, lo studio dei sistemi viventi applicato alla tecnologia. Dragonfly è un maxi-condominio di 122 piani con funzioni ibride di fattoria, ufficio ed abitazione che promette di ridurre drasticamente l’impatto ambientale delle megalopoli. E’ ambientato a New York ma replicabile in diversi contesti metropolitani.

    Il complesso consiste di una sorta di basamento-serra dal quale emerge imponente corpo verticale in vetro ed acciaio: sono le ali di Dragonfly  che si elevano fino a 700 metri di altezza, realizzato con tecnologie bioniche e morfologicamente ispirato alle ali di libellula che, finemente innervate, rappresentano un buon modello per la regolazione interclimatica degli ambienti chiusi. I torrioni mantengono l’equilibrio microclimatico grazie a un doppio strato a nido d’ape incuneato tra le pareti. D’inverno l’aria calda si accumula in questo esoscheletro costituendo una barriera contro il freddo. Al torrido caldo estivo è invece schermato dall’abbondante vegetazione, stimolando processi di ventilazione e di evapotraspirazione (vaporizzazione mediata dalle piante).

    Proprio come un organismo vivente, Dragonfly è in grado di recuperare rapidamente le energie che consuma. “La fattoria metabolica”, come la definisce il suo ideatore, capta l’energia del sole, dell’acqua e del vento per trasformarla in elettricità. Sul versante nord tre turbine eoliche ad asse verticale sfruttano la direzione dominante dei venti newyorkesi per produrre metà dell’energia necessaria al funzionamento dell’edificio. Al resto del fabbisogno provvede invece il gigantesco scudo solare che riveste le pareti del versante sud. Infine, come l’ala oblunga di un insetto, la base di Dragonfly si allunga per accogliere le correnti del fiume. Qui, lungo le sponde dell’East River, il progetto prevede due porti urbani, un mercato galleggiante e due acquari per la piscicoltura (v. immagine). La marine servirebbero da attracco per le barche che riforniscono di provviste alimentari la Midtown, il cuore della Grande Mela.

    Le case-libellula hanno ben poco di familiare. Tanto per cominciare, al posto del tradizionale salone ci sarebbero bioloft, grandi sale che comunicano con gli spazi pubblici attraverso tunnel, scaldati e illuminati direttamente dal sole. Il focolare domestico è in realtà una vera e propria serra in cui cogliere frutti e ortaggi: così l’agricoltura metropolitana accorcia le distanze tra produzione e consumo, valorizzando risorse e competenze territoriali secondo un modello già sperimentato con i “jardins ouvriers” (giardini dei lavoratori) di Parigi, le “piazze vegetali” a Mosca e i “community gardens” (giardini di comunità) nella stessa New York.

    Callebaut ha immaginato il grattacielo-libellula ergersi lungo l’East River, tra il distretto di Queens e l’isola di Mahattan Una delle aree metropolitane più trafficate del globo tornerebbe così ad ospitare una variegata molteplicità di piante ed animali, alcuni dei quali destinati all’allevamento. Ai piani inferiori verrebbero impiantate le stalle per mucche e cavalli, ai piani intermedi i vivai, in alto gli alveari. (v. immagine). In questo modo la fattoria metabolica sarebbe in grado di produrre da sé, oltre a cereali ed ortaggi, anche latte, uova, pollame, miele e cera. Secondo Callebaut, potrebbe ragiungere l’autosufficienza alimentare in pochi anni, e nel giro di un quindicennio persino di esportare i propri prodotti.

    Per garantire il fabbisogno di un’area metropolitana che già oggi conta oltre 18 milioni di abitanti, peraltro piuttosto viziati in materia di consumi, Drangonfly conta su 28 “campi” agricoli. Sulle pareti interne delle case e degli uffici si affacciano terrazze esagonali riservate alle coltivazioni idroponiche, alimentate da reflui domestici e compost “autarchico”. Una soluzione, nell’idea di Callebaut, per coniugare i metodi dell’agricoltura sostenibile con le rese di quella intensiva. Anche le mura esterne sarebbero rivestite di piante ed essenze vegetali. Sul versante  rivolto a Manhattan troverebbero posto essenze resistenti alla siccità mentre sul versante opposto potrebbe prosperare una vegetazione tropicale utile a filtrare l’acqua piovana e i reflui da re-immettere nel ciclo della coltura idroponica.

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