Le proprietà anti-microbiche di oli vegetali, resine e grassi animali, fondamentali per l’imbalsamazione dei corpi, erano già note agli antichi egizi. Lo hanno rivelato due chimici dell’Università di Bristol, Richard Evershed e Stephen Buckley, studiando 13 mummie conservate nel British Museum di Londra attraverso la gas-cromatografia, la spettrometria di massa e la pirolisi, tecniche che non intaccano i reperti.
La scoperta, pubblicata su Nature, svela nuovi segreti sul processo di imbalsamazione: dopo la disidratazione dei corpi e l’uso di sali e bagni chimici, gli egizi impiegavano grassi insaturi, resina e cera d’api. E non solo per una una credenza religiosa. Sono proprio queste sostanze che hanno permesso ai reperti, che risalgono a periodi tra la XII dinastia egizia (2300 a.C.) e l’epoca romana (30 a.C.), di conservarsi in buono stato, protetti dall’umidità e dai batteri. Gli imbalsamatori, evidentemente, ne conoscevano le proprietà benefiche: i grassi insaturi, auto-polimerizzanti, che si indurivano con il tempo, e le resine d’albero che contenevano agenti antibatterici, servivano a proteggere il corpo e favorire il processo di mummificazione.
Ma non solo, sembra che la presenza di cera d’api, finora considerata secondaria, venisse utilizzata proprio per le proprietà antibatteriche e impermeabilizzanti. “Non a caso”, ha spiegato Buckley “nella lingua copta, direttamente derivata dall’egiziano, la parola ‘cera’ si dice ‘mum’”. (a.ca.)
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