Un laboratorio in un chip. Letteralmente. È quello che è riuscito a mettere a punto un gruppo di ricercatori del Center of Bits and Atoms del Massachusetts Institute of Technology di Boston (Mit). In un lavoro, pubblicato su Science, gli studiosi hanno dimostrato come usare minuscole bolle d’azoto per imitare le capacità di un computer. La “logica” delle bolle fonde la chimica con la computazione consentendo a un bit di trasportare non solo informazioni ma anche un carico chimico.
Per arrivare a questo risultato i ricercatori hanno basato il loro studio sulla microfluidica, che permette di creare chip molto piccoli dove fluidi dell’ordine dei nanolitri (miliardesimi di litri) scorrono da una parte all’altra del processore, secondo reazioni chimiche. I ricercatori del Mit sono stati in grado di controllare i chip attraverso l’interazione delle bolle che fluivano attraverso microcanali, eliminando così il bisogno di controlli con sistemi a valvole esterni.
Per rappresentare un bit di informazione, i ricercatori usato la presenza o l’assenza di una bolla. In particolare sono state usate bolle di azoto in acqua, ma ogni altra combinazione di materiali non miscibili tra loro funzionerebbe (per esempio olio e acqua). Grazie a questo studio sarà possibile creare sistemi a microfluido su larga scala come memorie chimiche, in grado di memorizzare migliaia di reagenti su un chip, usando contatori per dispensarne l’esatto quantitativo e circuiti logici per assegnarli a destinazioni specifiche.
La velocità di operazione del chip è circa 1.000 volte più lenta di un tipico microprocessore elettronico, ma 100 volte più veloce del sistema di controllo esterno a valvole usato negli stessi chip a microfluido studiati finora. (a.n.)