Cina, il grande sorpasso

Per rendersi conto di come e quanto gli equilibri mondiali stiano cambiando, vale la pena di dare un’occhiata al rapporto biennale “Science and Engeneering Indicators 2006”, presentato nei giorni scorsi dalla National Science Foundation statunitense. Un volume di oltre 500 pagine piene zeppe di numeri e grafici che misurano lo stato dell’arte e i trend futuri della ricerca scientifica e tecnologica negli Usa, a confronto con gli altri paesi. Risultato: stazionari Stati Uniti e Giappone, che tengono il passo sotto i colpi di una competizione sempre più pressante; l’Europa (dei 15) invece perde terreno, sorpassata dalla Cina. E il gigante d’Oriente, con una crescita vertiginosa negli investimenti in ricerca e sviluppo che non accenna a fermarsi, svetta ai primi posti come il vero, nuovo protagonista sulla scena internazionale. Fuori dai giochi, per il momento, tutti gli altri: Europa dell’Est, Asia centrale, Medio Oriente, America Latina e Africa. Negli ultimi 15 anni sono aumentati in tutto il mondo i finanziamenti alla ricerca: solo quelli pubblici, ovunque in minoranza rispetto ai più cospicui finanziamenti privati, sono passati da 377 a 810 miliardi di dollari. Ma la Cina ha conosciuto un exploit senza precedenti e senza confronti: con uno stanziamento di 84,6 miliardi di dollari nel 2003, sei volte superiore a quello del 1990 di 12,4 miliardi, la Cina è diventata il terzo polo scientifico del pianeta, ormai alle calcagna di Usa e Giappone e già in vantaggio rispetto al Vecchio Continente. I segnali di questa scalata sono evidenti sotto molti punti di vista. Nel settore hi-tech, quello che più raccoglie i frutti dell’innovazione tecnologica, la Cina è seconda solo agli Stati Uniti con cui traina una fetta commerciale che vale 3.500 miliardi di dollari di fatturato l’anno. Ha sorpassato anche il Giappone, accaparrandosi il 12 per cento del mercato globale dei prodotti ad alta tecnologia. L’Europa, pur restando il maggior esportatore mondiale hi-tech, ha investito poco nel settore, cresciuto dal 9 al 12 per cento dal 1990 al 2003, contro un incremento nello stesso arco di tempo dal 6 al 18 per cento della Repubblica popolare cinese. Restando nel settore industriale, nel rapporto S&I Indicators 2006 si legge come gli investimenti delle multinazionali statunitensi nel mercato asiatico siano più che raddoppiati dal miliardo e mezzo del 1994 a tre miliardi e mezzo del 2002. E spostandoci nel mondo accademico si scopre che gli studenti cinesi sono quelli che vincono il maggior numero di dottorati negli Usa fra tutti gli studenti provenienti dall’estero (un terzo del totale). In controtendenza a quanto sembra avvenire nel nostro paese, ci dice il rapporto, aumentano nel mondo le lauree scientifiche: se nel 1997 erano 6,4 milioni, nel 2002 si è saliti a 8,7 milioni. Crescita avvenuta principalmente in Europa e, ancora una volta, in Asia, meno negli Usa. A far la parte del leone nelle nazioni emergenti dell’Est asiatico sono le specializzazioni in fisica e ingegneria, che coprono oltre la metà delle loro pubblicazioni scientifiche.Al di là di tutte queste cifre, quello che si evince dal rapporto è che l’ascesa cinese sulla scena economica globale si spiega anche attraverso la ferma e convinta volontà politica di sostenere massicciamente la ricerca scientifica, ormai competitiva con quella americana, giapponese e europea. Con l’obiettivo di destinarle fino al 2,5 per cento del Pil (la media nei paesi dell’EU, è del 2,2 per cento; la spesa italiana è pari all’1 per cento). Per gli Usa il resoconto della National Science Foundation è un campanello d’allarme, o meglio una spia che lampeggia e avverte di non abbassare la guardia per restare in gara. Nel nostro paese, dove quest’anno si è registrata la crescita economica zero, evidentemente, siamo diventati sordi e ciechi.

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