Il disboscamento brutale dell’Amazzonia è uno degli esempi di quanto è pervasivo il dominio dell’uomo sulla Terra, ma forse non tutto è perduto: infatti, tolti i ghiacci dei poli, ancora la metà del globo è selvaggia e incontaminata. Una metà però frammentata in piccoli ecosistemi sparsi, isolati, fragili e più minacciati dalle mire di consumo dell’Homo sapiens. Per la prima volta alcuni ricercatori della National Geographic Society americana, guidati dal geografo Andrew Jakobson, ne hanno fatto una mappatura satellitare completa. La ricerca, pubblicata su Scientific Reports, fa luce su quanto ancora siano minacciate queste aree e quanto si può fare per favorirne la tutela, a beneficio della biodiversità del globo e quindi dell’uomo.
I ricercatori hanno mappato l’impatto dell’essere umano sull’intero pianeta, raccogliendo grazie a tecniche satellitari una gran quantità di dati tra il 2017 e il 2018. L’obiettivo era quello di identificare e descrivere la distribuzione degli ambienti su cui è ancora basso o nullo l’intervento umano, habitat perciò potenzialmente da preservare. Sono cinque i tipi di ambiente in cui si concentrano le aree incontaminate identificate dal gruppo di ricerca: le vaste foreste boreali del nord del Canada e della Russia (quest’estate sconvolta dagli incendi); gli altipiani del Tibet e della Mongolia; le zone desertiche del Nord Africa e dell’Australia e le foreste tropicali come quella dell’Amazzonia.
Se immaginiamo queste aree selvagge, pensiamo subito proprio ai chilometri e chilometri di sconfinata foresta amazzonica. Il problema è che queste terre spesso non costituiscono un continuum ma sono divise in piccole zone, separate l’una dal’altra o dagli elementi naturali (per esempio, rilievi montuosi) o dall’intervento umano. La frammentazione degli habitat impedisce la circolazione del cibo, di possibili partner, impoverendo gli scambi e isolando le specie: per questo mette a repentaglio la biodiversità. La ricerca si è perciò concentrata su raccogliere informazioni sulla forma e la vastità degli habitat. È risultato che addirittura metà delle aree selvagge è infatti costituito da queste piccole parti, isolate. “E metà di questi segmenti”, aggiunge uno degli autori, Jason Riggio dell’Università della California di Davis, “stanno soltanto a un chilometro e mezzo dal possibile disturbo dell’uomo”.
Proprio per questa ragione è necessario, dicono i ricercatori, impegnarsi in una migliore conservazione di questi ambienti fragili. L’estensione della tutela su questi habitat, anche a quelli più frammentati, pone un freno alla strage di biodiversità dovuta alle attività umane, direttamente o indirettamente come responsabili della crisi climatica. Biodiversità per la quale l’Onu nel maggio di quest’anno ha lanciato un’allarme chiaro e minaccioso: rischiamo la sesta estinzione di massa. “La nostra ricerca”, racconta Jacobson,“ci dice che è tardi, ma non troppo. Possiamo ancora accrescere l’estensione delle aree protette in giro per il mondo, ma dobbiamo farlo velocemente. Montano le pressioni antropiche e la frammentazione e la perdita degli habitat stanno rapidamente erodendo i sistemi naturali e la diversità di specie che contengono”.
Riferimenti: Scientific Reports
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