Citarsi addosso

“La ricerca scientifica non è più uno sforzo collettivo per comprendere il mondo fisico, ma una spietata competizione per acquisire finanziamenti”. Un giudizio impietoso. E destinato a suscitare qualche polemica dato che viene proprio dalle pagine di una delle riviste scientifiche più prestigiose: la britannica Nature. In che modo si misura la qualità di un lavoro di ricerca? Con il numero di articoli pubblicati dai suoi autori su riviste internazionali specializzate e con il numero di citazioni che questi articoli ottengono sulle altre pubblicazioni del settore. Riconoscimenti e finanziamenti vanno agli istituti e ai centri che possono vantare il maggior numero di pubblicazioni. Così la preoccupazione dei ricercatori non è più di raggiungere risultati validi, ma di aumentare il proprio “indice di performance”.

Galileo ha già avuto modo di occuparsi degli “indici di performance”, parametri usati per valutare la rilevanza di un settore di ricerca o dell’attività di un singolo ricercatore, ai fini dell’assegnazione di finanziamenti o nell’ambito dei concorsi pubblici. L’indice più significativo è il cosiddetto impact factor, calcolato in base al numero di citazioni della rivista. Un articolo, poi, ha tanto più valore quanto più viene citato dagli altri autori e sale nella graduatoria del Journal Citation Report, pubblicato ogni anno dall’Institute for Scientific Information di Philadelphia.

“E’ un metodo obiettivo di valutazione, utile per garantire la trasparenza nei concorsi e nell’assegnazione dei finanziamenti”, spiega Mario Pianta, dell’Istituto di Ricerca e Documentazione Scientifica del Cnr, “ma gli indici di performance non dovrebbero costituire la sola voce per la stima della validità di un lavoro. Per dare una valutazione completa, obiettiva ma non meccanicistica, occorre molta competenza. E in Italia, in questo settore, non ce n’è. Un nucleo di valutazione per l’assegnazione dei finanziamenti pubblici è in allestimento presso il Ministero della Ricerca, ma non è ancora operativo. Per ora sono in pochi a occuparsi di questi problemi e ognuno nel proprio particolare settore”.

La principale controversia sugli indici di performance riguarda le pubblicazioni e il peso relativo da attribuire ad articoli apparsi su diverse riviste. Hanno più valore poche pubblicazioni su riviste molto conosciute e citate nel loro settore, oppure molte pubblicazioni su giornali meno conosciuti?

Poi c’è la questione delle citazioni. Nature ricorda l’abitudine diffusa tra i ricercatori di “grattarsi vicendevolmente la schiena citandosi furiosamente l’un l’altro negli articoli” per gonfiare gli indici di citazione. “Sono frequenti i giovani che per devozione fanno riferimento ai colleghi più anziani nei loro lavori”, conferma Pianta, “non esiste un criterio per stabilire quali citazioni siano genuine e quali dettate da motivi estranei all’interesse scientifico”.

“Rassegnamoci”, è la polemica conclusione di Nature. Che lancia anche una proposta provocatoria: “Riformiamo la ricerca su basi capitalistiche. Gli scienziati quoteranno in borsa i loro progetti di lavoro e chi acquisterà le azioni avrà diritto a una percentuale ogni volta che la ricerca ottiene un finanziamento. Le istituzioni prepareranno dei prospetti in cui si vanteranno della forza della loro squadra, dell’acume delle ipotesi e della validità degli esperimenti pilota. Gli investitori tradurranno la loro fiducia nella ricerca acquistando le azioni e i progressi nei diversi settori compariranno quotidianamente sui giornali sotto forma di quotazioni”.

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