Alzi la mano chi non vorrebbe aver l’opportunità di tornare indietro nel tempo. No, non stiamo parlando, almeno qui, di fantastici viaggi nel passato o nel futuro, magari per rimettere mano a qualcosa andato storto o per anticipare quello che deve ancora accadere. Parliamo piuttosto della possibilità di spostare indietro le lancette dell’orologio biologico, di ringiovanire. E oggi, secondo quanto raccontano alcuni ricercatori sulle pagine di Aging Cell, il ringiovanimento biologico non appare per nulla così fanstascientifico. Gli scienziati guidati da Steve Horvath della University of California di Los Angeles sono infatti riusciti a far regredire alcuni biomarcatori collegati all’invecchiamento. Come è stato possibile?
L’invecchiamento è un processo biologico complesso. Da tempo diversi ricercatori in giro per il mondo cercano di comprenderne i meccanismi di base e di capire se e come sia possibile agire su questi per contrastre gli effetti dello scorrere del tempo e così ringiovanire. Ma si può parlare di invecchiamento in modi diversi: possiamo riferirici alla capacità delle cellule di rigenerarsi, alle performance mnemoniche e ancora agli effetti visibili del tempo che passa. Ma possiamo riferirci anche ai segni epigenetici presenti sul DNA, ovvero a tutte quelle modifiche che colpiscono il DNA (ma senza alterare la sequenza di basi, come la metilazione del DNA), che cambiano nel tempo al punto da potersi considerare una sorta di orologio biologico. Ed è proprio a questo età epigenetica che si riferisce il team di Horvath nello studio di oggi. Nato per testare tutt’altra ipotesi, quella di capire se fosse possibile promuovere la rigenerazione del timo (un organo linfoide che va incontro a involuzione col tempo) e contrastare l’invecchiamento del sistema immunitario in alcuni uomini sani di età compresa tra i 51 e i 65 anni.
Nel loro studio, la sperimentazione TRIIM (Thymus Regeneration, Immunorestoration, and Insulin Mitigation) i ricercatori hanno somministrato ai partecipanti l’ormone della crescita combinato con due sostanze antidiabetiche (l’ormone della crescita infatti, spiegano gli autori, ha mostrato effetti ricostituenti in passato negli animali ma anche effetti diabetogenici che i ricercatori volevano contrastare). In più secondo le due sostanze usate potrebbero avere qualche effetto antiinvecchiamento, continuano gli esperti (parliamo della metformina e del deidroepiandrosterone).
Quando i ricercatori sono andati a testare il loro cocktail sui nove partecipanti (ma uno degli autori, scrive Nature News, lo avrebbe fatto tempo fa anche su stesso, almeno con l’ormone della crescita) hanno scoperto che sì il loro approccio aveva un potenziale di rigenerare il timo, ma non solo: inaspettatamente, scrivono, c’erano indicazioni anche sulla regressione di biomarcatori legati all’invecchiamento. I particolare, l’età epigenetica – misurata appunto con una serie di marcatori legati alla metilazione dle DNA – dopo un anno di trattamento regrediva di circa 1,5 anni rispetto all’inizio dello studio (con un tasso di ringiovanimento che aumentava dopo nove mesi di trattamento e persisteva un pochino dopo la sua interruzione). Come a dire, i partecipanti, almento sotto questo aspetto, sembravano ringiovaniti.
Pur riconoscendo che l’età epigenetica non misuri tutti gli aspetti legati all’invecchiamento e non sia sinonimo di invecchiamento in sé, quanto osservato secondo gli scienziati conferma che sia possibile intervenire per contrastare o quanto meno migliorare l’invecchiamento. Come spesso accade per capire se, come quanto, saranno necessari altri studi. Certamente su più numeri, con controlli ad hoc e indipendenti (alcuni degli autori hanno già dato vita alla società Intervene Immune per la rigenerazione del timo e contro l’immunosenescenza).
Riferimenti: Aging Cell
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