Codice d’invecchiamento

Qualora arrivassimo a spegnere la centesima candelina dovremmo certamente ringraziare la sorte, la qualità e lo stile di vita, ma anche e soprattutto i nostri genitori per averci fornito una combinazione genica di successo. Partendo dall’evidente carattere familiare del raggiungimento di questo traguardo, i ricercatori hanno infatti dimostrato come godere di buona salute fino a età eccezionalmente alte implichi l’esistenza di una componente genetica favorevole. E ora vogliono andare a fondo, dare la caccia cioè a quelli che possono essere definiti i geni della longevità. Una sfida imponente per un grande progetto inserito nel Sesto Programma Quadro dell’Unione Europea, al quale prenderanno parte 17 unità di ricerca distribuite in vari paesi europei, tra cui Italia, Francia, Inghilterra, Germania, Grecia, Danimarca, Belgio e Finlandia. Si tratterà di scandagliare il Dna dei centenari con i più potenti mezzi tecnologici messi a disposizione dall’era post-genomica. “Abbiamo già istituito dei programmi europei per studiare alcuni aspetti dell’invecchiamento con diversi approcci”, afferma il coordinatore del progetto Claudio Franceschi, docente di Immunologia all’Università di Bologna e direttore scientifico dell’Istituto Nazionale Riposo e Cura Anziani (Inrca). “Si tratta del Protage che prende in esame il ruolo del proteasoma, il complesso cellulare deputato alla degradazione delle proteine, con tecniche avanzate di spettrometria di massa; l’Echa che valuta il vantaggio genetico nei figli dei centenari rispetto ai figli dei non centenari; e il Functionage che utilizza modelli di senescenza in vitro e studia i profili di espressione genica negli individui anziani in salute e non con la tecnica dei microarray”. L’obiettivo adesso è quello di unire le forze. E in questo senso si muoverà il progetto di scansione del genoma di 1500 fratrie (coppie o gruppi di fratelli) di centenari, un totale di almeno 3000 individui che abbiano, precisa Franceschi, minimo 95 anni per le donne e 92 per gli uomini. “Ci serviremo di piattaforme ad alta prestazione, sofisticate tecnologie che ci permetteranno di fare una scansione genica globale per individuare le regioni cromosomiche da analizzare poi in maggior dettaglio. Il progetto sarà inoltre collegato a quello di genetica dei gemelli diretto da Lena Peltonen al National Public Health Institute di Helsinki, in collaborazione con Antonia Stazi all’Istituto Superiore di Sanità per la raccolta di gemelli sia mono che dizigoti”. Ma ci sono già geni o meccanismi candidati per avere un ruolo nella longevità? “Sì, per esempio abbiamo già l’indicazione che il metabolismo degli zuccheri giochi un ruolo fondamentale: infatti esaminando la via di segnalazione dell’insulina e i livelli di glucosio nel sangue abbiamo osservato che i centenari mantengono un metabolismo efficientissimo, pari a quello di un giovane. E i fattori genetici implicati si trovano sul cromosoma 11”. Ciò sembrerebbe in apparente contraddizione con quanto scoperto negli organismi inferiori, come il lievito, i vermi, e i moscerini nei quali l’elisir di lunga vita risiederebbe nella restrizione calorica e nel rallentamento del metabolismo. “Ma in realtà non si può fare un paragone diretto”, spiega Franceschi, “infatti negli organismi superiori come in noi umani intervengono meccanismi molto più complessi e spesso sono variazioni in più geni tra loro connessi che possono risultare in un allungamento della vita”. Tra i geni di cui finora è stata provata l’importanza c’è quello che codifica per l’apolipoproteina E (apoE), che sembrerebbe legato all’insorgenza dell’Alzheimer. “Diversi lavori hanno messo in evidenza che la variante e-4 del gene apoE è presente in percentuale molto più bassa nei centenari rispetto alla media della popolazione”, afferma ancora lo scienziato italiano. Che, insieme a Giuseppe Attardi del Caltech Institute di Pasadena, ha pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences uno studio in cui dimostra come una mutazione nel Dna mitocondriale, cioè di quell’organello cellulare che serve a produrre energia, sia significativamente più alta nei centenari. “La mutazione è presente nel 17 per cento dei soggetti tra i 99 e i 106 anni, mentre negli individui più giovani la percentuale è del 3 per cento. E il dato sorprendente è che nei gemelli tra i 60 e i 75 anni questa percentuale sale addirittura al 30 per cento”. È noto che nei parti gemellari c’è un’alta mortalità. Si potrebbe quindi ipotizzare una specie di selezione alla nascita. Ma quale può essere il significato di questa mutazione? “Ci possono essere due interpretazioni”, conclude Franceschi, “la variazione potrebbe essere collegata a una più efficiente resa energetica oppure a una migliore qualità del processo, che si accompagnerebbe a una minore produzione di radicali liberi”.

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