Cold case, un omicidio di 430 mila anni fa

“Violenza interpersonale letale nel Pleistocene medio”: si intitola così il paper pubblicato su Plos One che documenta la prima prova di violenza letale – omicidio – in reperti fossili di ominidi.

Da sempre oggetto di interesse, la violenza interpersonale tra i membri del genere Homo nel Pleistocene (Paleolitico inferiore) era già stata documentata e studiata per definire un quadro delle relazioni sociali nel passato ma anche, per speculare sulle ragioni di fondo. Tutte prevalentemente associabili alla sopravvivenza, alla scarsità delle risorse, alla densità di popolazione, alla difesa del territorio. E quel che emerso finora era che le lesioni associate a questa violenza erano sì per lo più traumatiche, ma sostanzialmente non intenzionali. Niente di non già noto agli studiosi.

Assolutamente nuove, invece, sono le lesioni letali identificate su un cranio di un giovane adulto, riferito come “cranio 17”. Un reperto rinvenuto nel sito paleontologico di Atapuerca, 20 chilometri a nord-est da Burgos nel nord della Spagna. Il sito, iscritto dal 2000 nell’elenco del patrimonio mondiale dell’umanità, è uno tra i più importanti d’Europa perché fonte di testimonianze della presenza e dello stile di vita degli ominidi di milioni di anni fa. Nella Sima de los Huesos, uno dei luoghi del sito di Atapuerca, sono stati ritrovati fossili di ominidi appartenenti ai Neandertal, corrispondenti ad almeno 28 individui di età e sesso diversi. Secondo gli studiosi, una delle migliori testimonianze della popolazione del tempo, il Pleistocene medio, 430 mila anni fa.

Tra questi è spuntato anche il cranio 17, composto da 52 frammenti recuperati durante gli scavi. Un cranio quasi completo che presenta due lesioni penetranti nella sede frontale sinistra.

L’analisi delle loro caratteristiche effettuata applicando la scienza forense e le tecniche analitiche e strumentali di polizia scientifica, oltre alla valutazione della traiettoria del trauma, ha permesso agli autori dello studio di dimostrare con buona approsimazione che entrambe le fratture sono state prodotte da uno stesso oggetto contundente, sferrato con traiettorie leggermente diverse che hanno determinato un differente impatto sulla volta cranica del soggetto.

Secondo gli autori è molto improbabile che le fratture siano state conseguenza di una caduta accidentale. È piuttosto verosimile, invece, che per la dinamica dell’evento si sia trattato di un atto di aggressione intenzionale letale. In altre parole, di un caso di omicidio: uno dei primi della storia dell’uomo di cui si abbia testimonianza.

Infatti, secondo i ricercatori che hanno analizzato il reperto, le lesioni conseguenti a un trauma accidentale sarebbero state localizzate sui lati della volta cranica e non in regione frontale come sul cranio 17. Le due lesioni in questa sede di fatto testimoniano colpi inferti ripetutamente in modo intenzionale da un aggressore destrimane che si trovava proprio difronte al malcapitato.

Gli autori del paper hanno anche ipotizzato che la Sima de los Huesos sia stato un luogo in cui trovavano dimora i defunti appartenenti ai diversi gruppi sociali: una sorta di camera funeraria. La ragione? La presenza di tanti corpi e le caratteristiche del luogo che è situato in profondità all’interno di un sistema di grotte sotterranee il cui unico accesso è un pozzo verticale profondo 13 metri.

Riferimenti: Plos One DOI: 10.1371/journal.pone.0126589 

Credits immagine: Javier Trueba / Madrid Scientific Films

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