Colombo fu solo l’ultimo

Elio Cadelo
Quando i Romani andavano in America. Scienza e conoscenza degli antichi navigatori
Palombini Editori, 2009, pp. 287, euro 19,00

Ordina su Ibs

I secolo d.C.: i navigatori Romani sbarcano in California con tanto di toga e sandali alla schiava, poi fanno rotta per il Sud America, con il loro bel carico di ananas. Le scenette che si affacciano alla mente sono decisamente lontane da quello che abbiamo appreso a scuola, e dall’immaginario collettivo intorno a Colombo, la Nina, la Pinta, la Santa Maria. Ma non escono dalla matita dei fumettisti di Asterix: le teorie sulla scoperta del Nuovo Continente sono molte, basate su documentazioni storiografiche importanti, benché spesso insufficienti a supportarle in toto. Così come sono molte le nuove scoperte archeologiche e gli studi sulle conoscenze del mondo antico che ormai dovrebbero quanto meno metterci una pulce nell’orecchio: quante cose non sappiamo sulla storia della scoperta dell’America (che fa il paio con l’affascinante storia dell’arte della navigazione e del sapere scientifico)?

Ecco che spunta allora l’ipotesi provocatoria che siano stati addirittura gli antichi Romani i primi a mettere piede in quelle terre oltreoceano. A guidarci in questo viaggio attraverso più di duemila anni di storia è Elio Cadelo, giornalista scientifico e scrittore. Per il suo libro “Quando i Romani andavano in America”, Cadelo ha lavorato fianco a fianco con gli astronomi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, con il Gruppo Nazionale di Oceanografia Operativa di Bologna e con una lunga sfilza di storici, matematici, sociologi e archeologi, italiani e non. Per sostenere la tesi che le civiltà marinare possedevano le conoscenze matematiche, astronomiche, geografiche e nautiche necessarie a seguire le rotte oceaniche molto prima della diffusione della bussola nel 1200. 

Ci sono prove, infatti, che i vichinghi raggiunsero le coste americane ed è plausibile che altri popoli fecero lo stesso ben prima della data ufficiale della scoperta attribuita a Colombo, che probabilmente ha avuto solo la fortuna di essere l’ultimo arrivato. Come scrive nella prefazione al libro il noto fisico internazionale Giovanni Fabrizio Bignami, docente di Astronomia all’Istituto Universitario degli Studi Superiori di Pavia, nessuno sa se i Romani arrivarono davvero in America, lasciando teste di statuette e tombe a documentare il loro passaggio. Non ci sono, infatti, le grandi opere del famoso ingegno del populus che lo testimoniano, e l’ipotesi è destinata a rimanere tale. Ma questo non toglie nulla al suggestivo libro, che trasporta il lettore dal “De Bello Gallico” di Giulio Cesare, al “Geographia” di Tolomeo, passando per Plutarco e Plinio, fino alle notizie sui primi strumenti per misurare le distanze angolari. E ancora, davanti ai mosaici romani del I secolo d.C. che mostrano frutti originari delle Americhe, ai disegni che raffigurano la Terra sferica già nel 50 d.C.  e alle navi greche e romane con un strumenti sofisticati, rivestite di metallo, adattate cioè ai lunghi viaggi, piuttosto che a quelli lungo le coste. Anche se gli indizi non bastano a riscrivere la storia, sono sicuramente sufficienti a sfatare vecchie convinzioni stantie, e a istillare il dubbio.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here